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Stellantis in Serbia: operai da Nepal e Marocco. Un nuovo capitolo della globalizzazione al ribasso

by Sergio Filacchioni
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Stellantis

Roma, 28 ago – Dallo stabilimento Fiat di Kragujevac, cuore industriale della Serbia centrale e oggi parte dell’universo Stellantis, arriva una notizia che ha fatto discutere: per coprire i turni produttivi della nuova Fiat Grande Panda, il gruppo avrebbe deciso di importare circa 800 lavoratori dal Nepal e dal Marocco. Una scelta che, secondo i sindacati locali, conferma la logica spietata delle multinazionali: cercare sempre manodopera più a buon mercato, senza curarsi delle ricadute sociali.

Kragujevac: lo stabilimento Stellantis che non convince i serbi

L’impianto di Kragujevac, modernizzato tra il 2022 e il 2024 con un investimento congiunto di 190 milioni di euro tra Stellantis e governo serbo, è stato presentato come modello di innovazione e robotizzazione. Ma i salari restano bassissimi: 70.000 dinari al mese (meno di 600 euro) per un operaio, che diventano circa 768 solo accettando turni straordinari anche di sabato. «Gli abitanti di Kragujevac non sono interessati a queste cifre, perché non bastano a sopravvivere», ha spiegato il sindacalista Jugoslav Ristić. Ecco dunque il ricorso a lavoratori provenienti da Paesi ancora più poveri, come Nepal e Marocco, disposti ad accettare condizioni che i locali rifiutano. Una dinamica che ha già generato frizioni: tra operai serbi sottopagati, italiani temporaneamente inviati in missione con stipendi fino a 140 euro al giorno, e ora manodopera asiatica o nordafricana in arrivo.

Multinazionali e governi complici

Il nodo centrale resta la complicità dei governi. In Serbia, lo Stato detiene un terzo delle quote dello stabilimento ma non impone salari più alti. «Se Fiat pagasse 1.000 euro al mese, troverebbe sicuramente lavoratori locali. Ma il messaggio è chiaro: la Serbia deve restare una zona di manodopera a basso costo», denuncia Ristić. Non un caso isolato. È la stessa logica che in Italia ha visto Stellantis chiedere sostegni, minacciare chiusure, spostare produzioni all’estero e proporre ai lavoratori Maserati di Modena trasferte semestrali in Serbia, invece di rilanciare i marchi nazionali. Come ricordato da Carlo Maria Persano su queste colonne (Il lungo tradimento di Stellantis, dicembre 2024), la vicenda serba è solo l’ennesimo tassello di una strategia che da anni penalizza l’Italia e i suoi lavoratori. Se con Marchionne, almeno in parte, Fiat aveva difeso autonomia e radici industriali, dopo la sua morte e la fusione con PSA, l’Italia è stata svenduta: il governo Conte Bis favorì l’operazione, garantendo un prestito pubblico da 6,3 miliardi, di cui 5,5 finirono in dividendi. Con Carlos Tavares, i tagli indiscriminati e la delocalizzazione sono diventati sistema, mentre Elkann ha respinto perfino l’ipotesi di una partecipazione statale a difesa del lavoro nazionale. Nel 2024 Stellantis ha registrato utili record e aumentato gli stipendi dei vertici, ma sulle spalle di operai impoveriti e marchi italiani abbandonati al declino. La Serbia di oggi riflette lo stesso schema: utilizzare un Paese come piattaforma low cost, spremere la manodopera, e quando non basta più, cercare operai ancora più poveri, anche dall’altra parte del mondo.

Serbia e Marocco: due facce della stessa strategia

Se a Kragujevac Stellantis fatica a trattenere personale e importa forza lavoro, in Marocco il quadro è opposto: lo stabilimento di Kenitra, inaugurato nel 2019, è stato potenziato con un investimento da 1,2 miliardi di euro per portare la capacità produttiva a 535mila veicoli l’anno. Un Paese che offre salari competitivi, stabilità politica e incentivi statali, in netto contrasto con l’instabilità sociale serba. La morale è chiara: Stellantis non ha alcun radicamento, né in Italia, né nei Balcani. Si muove esclusivamente secondo la logica del profitto immediato, abbandonando territori e comunità ogni volta che emergono nuove opportunità di sfruttamento. Stellantis rappresenta oggi il volto di una globalizzazione predatoria che trasforma i lavoratori in variabili sacrificabili e i territori in piattaforme a basso costo. L’Italia lo sa bene: lo “stabilimento serbo” è solo l’anticamera di ciò che accade, da anni, a Melfi, Pomigliano, Modena. E mentre Tavares e Elkann brindano a utili record, in Europa e nei Balcani cresce la consapevolezza di un tradimento industriale e nazionale che non può più essere ignorato.

Sergio Filacchioni


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