Roma, 10 nov – La sentenza in Appello ha ribaltato quella di primo grado. Il giudice Rosa Calia Di Pinto ha stabilito che l’insegnante Rosa Casulli non ha commesso reato perché manca il dolo. Il caso è quello della maestra – che poi chissà perché si deve sempre aggettivare un soggetto tramite la professione, l’appartenenza politica et similia come se già non bastassero nome, cognome e provenienza geografica sbattuti in prima pagina – Rosa Casulli, insegnante in vacanza nella sua Bari dopo un periodo di lavoro come precaria in una scuola del Nord Italia, trovata in atteggiamenti intimi con dei 14enni.
Il caso di “Zia Martina”, la maestra scoperta a fare sesso con dei 14enni
La denuncia era partita da alcune mamme degli adolescenti che avevano trovato foto e video esplicite nei cellulari dei figli ed erano ricorse all’ordine costituito contro la “Bocca di Rosa” pugliese. Zia Martina, questo il nome d’arte della prof., forte anche dei suoi studi giuridici, sapeva benissimo che non stava commettendo alcun reato, visto che la legge italiana fissa proprio a quattordici anni la soglia di età per avere rapporti sessuali consenzienti. Nonostante la stampa abbia trattato con riguardo e guanti bianchi il caso che non è stato montato, la notizia ha comunque diviso l’opinione pubblica, dove non manca chi è in allarme perché si è di fatto sdoganata la pedofilia.
La sentenza della Corte di Appello, infatti, ha stabilito non solo l’assoluzione per i reati ascritti, ma cessano per zia Martina anche le pene accessorie quali l’interdizione dai pubblici uffici e il divieto di lavorare a contatto con minori. La maestra elementare quattro anni fa fu condannata ai domiciliari con le pesanti accuse di corruzione di minorenne e produzione di materiale pedopornografico. Dopo la segnalazione delle mamme, i Carabinieri intervennero in un bed and breakfast di Bari, trovando zia Marina con uno dei ragazzi, un quattordicenne per la precisione.
L’insegnante non ha mai negato di avere avuto rapporti sessuali con i quattordicenni, ma ha sempre sostenuto di non aver commesso reato. Con “il fatto non costituisce reato”, infatti, la Corte di Appello di Bari sembra proprio dare ragione alla docente perché manca la volontarietà dell’azione commessa. L’accusa, infatti, non è più quella di pedofilia – che cadrebbe, vista l’età dei virgulti – ma di produzione e diffusione materiale pedopornografico di cui la stessa Casulli sarebbe rimasta vittima, non essendo lei autrice né l’istigatrice di determinate condotte, ma probabilmente un tredicenne che avrebbe partecipato, forse in qualità di spettatore, a un incontro, ma non a quello in cui c’è stata la visita dei militari dell’Arma. Nel processo, secondo quanto sostiene la Casulli, sono stati esibiti video tagliati e senza audio, il che ha compromesso la veridicità dell’accaduto e per cui sono state presentate denunce per revenge porn e per stalking anche verso gli inquirenti.
Giustizia è stata fatta?
Giustizia è fatta, dunque, ma appare quantomeno curioso che una donna rettamente istruita, in punta di diritto rimanga vittima di un adolescente immaturo che registra le immagini dell’incontro sessuale. Non tutti i mali però vengono per nuocere e la Casulli fa sapere che oggi vede gli adolescenti quali “immaturi” e quegli incontri sono il frutto di un periodo anch’esso immaturo, ha una laurea in legge, ha frequentato una scuola di specializzazione che equivale ad un anno di tirocinio forense ed è sua precisa intenzione avviarsi, quindi, verso la professione del diritto penale.
La vicenda potrebbe non finire qui, qualora il pubblico magistrato che rappresenta l’accusa decidesse, come nel caso Turetta salvo poi cambiare idea, di ricorrere in Cassazione. Al di là delle impressioni che ognuno può avere sul caso, sulla legittimità del non impedire alla Casulli di potere avere (ancora) a che fare con dei minorenni, sulla deontologica correttezza della stampa nel trattare il caso non sbattendo ulteriormente il mostro di turno in prima pagina solo per vendere qualche copia in più, commentando sentenze in maniera profana, maccheronica e interessata e partendo da presupposto che ognuno è innocente fino a prova contraria, ma soprattutto senza cedere al vittimismo, come ultimamente va di moda per colorare, sempre più di rosa, quasi rosso e di tutti gli altri sette colori dell’arcobaleno, le sentenze in nome di una parità inesistente e mai ammessa dai diretti interessati, proprio a stampa e magistratura sarebbe indicativo chiedere: a parti invertite, tanti riguardi e tanta discrezione sarebbero stati usati anche se la concupita fosse una minorenne e l’amatore un maschio, magari bianco e etero?
Tony Fabrizio