Roma, 11 ott – Cinema e piccolo schermo non si sono occupati spesso di storie con protagonista la birra. Quest’ultima è stata sì molto presente, ma come sfondo ai personaggi. Oggi invece ci vogliamo occupare di due produzioni nelle quali l’amato luppolo è il vero motore della trama. Vale a dire Oktoberfest: birra e sangue e House of Guinness. Entrambe le serie tv partono da spunti reali per poi prendersi delle libertà narrative, ovviamente necessarie per renderle appassionanti ed appetibili al pubblico.
Birra e sangue
Con Oktoberfest: birra e sangue (miniserie in sei episodi) siamo di fronte ad una produzione tedesca di alto livello. Realizzata da Ronny Schalk, ci porta a Monaco di Baviera nel 1900. All’epoca l’Oktoberfest era un’importante festa regionale, ma non ancora l’evento planetario che ora tutti conosciamo. Ecco allora che su Monaco piomba in maniera dirompente lo spregiudicato birraio dalla Franconia Curt Prank (ispirato alla figura di Georg Lang, leggendario locandiere di Norimberga), con il dichiarato scopo di trasformare la festa della birra in un happening indimenticabile, partendo dall’idea di creare un tendone che possa contenere fino a seimila persone. Chiamato con disprezzo “prussiano” dai membri del cartello dei grandi birrifici, non esita a farsi strada anche con la violenza pur di raggiungere i propri scopi. Cercando nel frattempo di donare alla figlia Clara quella rispettabilità che a lui è stata negata per tutta la vita.
Siamo di fronte ad una sontuosa rappresentazione shakespeariana, visivamente magnifica ed accompagnata da litri e litri di birra e da canti popolari. Il tutto mentre si intrecciano storie d’amore in stile Romeo e Giulietta. Sullo sfondo, una Germania che sta cambiando, affacciandosi al nuovo secolo tra rispetto di tradizioni consolidate e spinte rivoluzionarie. Chi non ha gradito però la storia è stato però proprio il cartello che cura l’Oktoberfest. Non è stato apprezzato il modo nel quale viene dipinto, vale a dire come dei capitalisti che pensano solo al denaro, anche se è francamente difficile obiettare nel merito.
Dalla Germania all’Irlanda
Passando dalla birra bionda alla birra scura e dalla Germania all’Irlanda, è uscita lo scorso 25 settembre su Netflix House of Guinness. Partendo dal giorno del funerale di Sir Benjamin Lee Guinness, ci racconta la trasformazione della celebre birra in icona mondiale. Benjamin è il nipote di Arthur Guinness (del quale si è festeggiato il trecentesimo compleanno il 24 settembre), il quale nel 1759 fondò a Dublino, precisamente a St. James’s Gate, la Guinness Brewery. Ora tutti noi pensiamo alla Guinness come ad un’icona celtica ed irlandese. In realtà la famiglia nasce protestante ed unionista. Ecco così che, nel 1868, la storia inizia con i tentativi da parte della Fratellanza Feniana (che nel 1922 diverrà l’Irish Republican Army) di assaltare il funerale del defunto Benjamin, visto come un collaboratore degli occupanti inglesi.
Benjamin aveva trasformato un piccolo birrificio in una impresa di straordinario successo. Ma non era ancora riuscito a farsi benvolere dai cattolici. Spetterà ai quattro figli portarne avanti l’eredità: Anna Lee, la figlia maggiore che per matrimonio legò la famiglia Guinness alla Chiesa d’Irlanda; Arthur Edward, che divenne famoso per aver ceduto al pubblico il St. Stephen’s Green Park di Dublino; Benjamin, che intraprese la carriera militare; Edward, il figlio più giovane, che invece si dedicò anima e corpo alla birra stout, facendo diventare il birrificio Guinness il più grande del mondo.
House of Guinness
Questa è la storia, mentre in House of Guinness, creata da Steven Knight (la mente dietro Peaky Blinders), esploriamo la leggenda. Intrighi e giochi di potere, sesso e amore, con da coprotagonista la sempre interessante e tormentata questione irlandese. Edward per primo comprenderà la necessità di farsi benvolere dai cattolici. Tramite il complesso e ben sviluppato personaggio di Ellen Cochrane (attivista feniana della quale egli si innamorerà), cercherà di porsi come mediatore, anche grazie all’influente comunità irlandese di New York. Gli otto episodi scorrono che è una meraviglia, anche grazie alla meticolosa ricostruzione della Dublino dell’epoca, ricreata a Liverpool, ed il finale aperto lascia in trepidante attesa della seconda stagione.
Qui però iniziano i problemi: benché accolta entusiasticamente dalla critica, la serie ha lasciato con l’amaro in bocca chi si aspettava una replica di Peaky Blinders, ragion per cui gli ascolti sono stati molto al di sotto delle aspettative, facendo temere anche una cancellazione. Ma la forza di House of Guinness è la stessa di un’ottima pinta di birra scura: serve guardarla con la pazienza con la quale si attende “il minuto Guinness”, quello che intercorre tra la prima spillatura ed il completamento della bevanda. Allora sì che potremo apprezzarla pienamente, accompagnata dalla colonna sonora che è un tripudio di musica celtica.
Roberto Johnny Bresso