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“Bibi la guerra è finita”: Trump, Israele e la pace nel Medio Oriente tra discorsi di facciata e rapporti di forza

by Michele Iozzino
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Roma, 13 ott – Giornata campale per i destini del Medio Oriente e della pace a Gaza. Dopo il cessate il fuoco degli scorsi giorni, sono stati liberati gli ultimi ostaggi in mano ad Hamas e – da parte opposta – scarcerati circa duemila palestinesi. Nel pomeriggio la firma degli accordi a Sharm el-Sheikh, presente tra i diversi leader mondiali anche Giorgia Meloni. Ma in mattinata la scena se l’è presa tutta Donald Trump con un lungo discorso alla Knesset, il parlamento israeliano.

Il discorso di Trump alla Knesset

Ci troviamo a Gerusalemme, città contesa, almeno in teoria, dove Trump si vanta di aver riportata l’ambasciata statunitense. Trump è stato accolto dalla Knesset con grandi applausi. Per il presidente americano, “Israele ha vinto tutto ciò che si poteva ottenere con la forza delle armi. Ora è il momento di trasformare queste vittorie contro i terroristi sul campo di battaglia nel premio finale: pace e prosperità per l’intero Medio Oriente”. Una pace che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe potuta essere raggiunta già l’anno scorso. Scrive il giornalista e attivista israeliano Gershon Baskin: “Ho incontrato i membri del team negoziale americano nell’ottobre 2024 ed erano frustrati quanto me per la loro incapacità di convincere Biden e i suoi uomini a considerare seriamente l’accordo sul tavolo. Insomma, un’immagine di Biden molto più schiacciato su Israele di quanto paradossalmente si sia dimostrato Trump. E ancora, “I qatarioti mi invitarono a Doha nell’ottobre 2024 e gli feci vedere l’accordo accettato da Hamas, di cui erano a conoscenza, ma mi dissero che se l’America non accettava il piano non si poteva fare niente, perché l’ostacolo era Israele, non Hamas. Ricevetti lo stesso messaggio dall’intelligence egiziana: Hamas era pronto a un accordo per liberare tutti gli ostaggi, non governare più Gaza e porre fine alla guerra, ma Israele non era disposto a procedere”. Anche qui si confermerebbe il ruolo di Israele e Netanyahu nel proseguire guerra e stragi.

La pace nel Medio Oriente tra rapporti di forza e ideologia

La battuta dello stesso Trump a Netanyahu, con un icastico “Bibi la guerra è finita”, più che un sospiro di sollievo parrebbe un ordine perentorio. C’è chi – è il caso di Dario Fabbri – sottolinea che la stretta statunitense per arrivare alla pace sia una risposta agli eccessi israeliani nel settore, prima con l’attacco all’Iran, poi con quello ancora più problematico al Qatar. Dietro alla dichiarazione di facciata, ci sarebbe quindi la volontà americana di tirare il freno all’alleato, per non correre il rischio di alienarsi gli altri partner con cui spartirsi il Medio Oriente. In questo senso, la pace sarebbe una sconfitta per Israele, costretta a subire una forza di interposizione a Gaza costituita dai propri rivali geopolitici come turchi, pakistani, sauditi e gli stessi qatarioti. Ma oltre l’analisi dei rapporti di forza, c’è anche la sfera sentimentale, ideologica e irrazionale. Così Trump si affida a toni messianici e apocalittici, quasi a ribadire un’intimità tra Stati Uniti e Israele, un ponte tra la vecchia e la nuova Terra Promessa: “Ci riuniamo in un giorno di profonda gioia, di speranza crescente, di fede rinnovata e, soprattutto, un giorno per rendere il nostro più profondo ringraziamento all’Onnipotente Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Dopo tanti anni di guerre incessanti e pericoli senza fine, oggi il cielo è sereno, le armi tacciono, le sirene non suonano più e il sole sorge su una Terra Santa finalmente in pace. È l’alba storica di un nuovo Medio Oriente”. È il riemergere di quell’America pensata come realizzazione di una Nuova Israele, come rifiuto dell’Europa, così come Gerusalemme era e forse è l’anti-Roma.

Quel curioso accenno al terrorismo

Nel discorso di Trump c’è anche spazio per un curioso accenno al terrorismo e ai suoi effetti: “Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti in questa regione che decenni a fomentare terrorismo, estremismo, jihadismo e antisemitismo non hanno funzionato: si sono ritorti contro di loro in modo totale”. Ma a fomentare islamismo e terrorismo sono stati proprio gli americani, portando nel Medio Oriente guerre, caos e distruzione, anche sotto le false vesti di “rivoluzioni colorate”. Se l’Isis è figlio legittimo della guerra in Iraq, se ancora più recentemente il cambio di regime in Siria ha portato uno jihadista ex al-Qaida al potere, sappiamo di chi è la colpa. Un riferimento che è ancora più interessante se pensiamo alle implicazioni di quella che fu la cosiddetta “guerra al terrorismo” portata avanti dopo l’11 settembre dai neocon e Bush Jr, proseguita poi in chiave dem. Per molti versi è stata la fase estrema del globalismo, la volontà di intervenire ovunque e in ogni modo per imporre una visione del mondo unica – fatta di appelli alla democrazia, ai diritti universali e al liberto mercato, – anche contro la legittimità degli Stati e delle Nazioni. Spiega Giulio Tremonti a La Verità: “Questa ideologia, che considero negativa e distruttiva, comportava la riduzione della democrazia a commodity, in pratica un prodotto da esportare come un panino di McDonald’s”. Cosa su cui Trump sembrerebbe voler fare marcia indietro, almeno parzialmente: “È più evidente che mai che le nazioni produttive e responsabili di questa regione non dovrebbero essere nemiche o avversarie, ma partner e, alla fine, persino amiche. Anche con l’Iran, il cui regime ha inflitto così tante morti in Medio Oriente, la mano dell’amicizia e della cooperazione è sempre aperta”. Commenta sempre Tremonti: “Se la presenza degli Stati può produrre guerra o pace, l’assenza degli Stati ha prodotto solo caos”. E ancora, “L’accordo portato a casa da Trump può significare il ritorno degli Stati nella politica internazionale”. Staremo a vedere.

Michele Iozzino

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