Roma, 16 ott – Prima è toccato al popolo dell’Artsakh. In Armenia, abbandonato dalla Russia che aveva assunto il ruolo di peacekeeper ma che, al momento del bisogno, si è voltata dall’altra parte. Ha permesso all’Azerbaigian prima di bloccare il corridoio di Lachin per nove mesi — provocando una crisi umanitaria con scarsità di cibo, farmaci, carburante ed elettricità — e poi ha ignorato gli attacchi azeri che hanno portato all’esodo di circa 100.000 armeni e alla morte di centinaia di persone.
Una questione di Realpolitik
Poi è toccato alla Siria. Per mantenere Tartous, l’unico avamposto militare permanente russo nel Mediterraneo e un porto commerciale dal valore strategico di oltre 800 milioni di dollari, al-Jolani viene accolto a Mosca con tutti gli onori. Le parole al miele di Putin e Lavrov — che definiscono la vittoria delle forze filogovernative in Siria “un grande successo e un passo verso la consolidazione della nazione” — vanno ben oltre il semplice convenevole diplomatico.
Prevedibile, certo: possiamo chiamarla Realpolitik. Ma ricordate quando, alla prima apparizione pubblica di al-Jolani in Occidente, molti commentatori sfruttarono l’occasione per attaccare l’Europa? E adesso? Silenzio.
Forse non tutti sanno che l’Unione Europea è stato l’attore politico e istituzionale che più concretamente ha sostenuto l’Armenia (e indirettamente l’Artsakh) dopo l’offensiva azera del 2023. Lo stesso si può dire per la Palestina — soprattutto guardando all’esempio italiano. Eppure, pare che qualsiasi problema internazionale sia sempre colpa “nostra” e mai di altri.
Due pesi, due misure
Due pesi, due misure. Un po’ come il tema della corruzione in Ucraina: esiste da ben prima dell’indipendenza, affonda le radici nei tempi dell’URSS. Gli stessi ucraini ne sono perfettamente consapevoli. Ma, stranamente, negli ultimi tre anni è diventato improvvisamente il tema dirimente per certi commentatori o pseudo-giornalisti filorussi, che si stracciano le vesti per ricordarcelo. Come se in Russia gli oligarchi e i potenti non avessero costruito le proprie fortune con metodi mafiosi, in un Paese che mantiene tuttora enormi disuguaglianze sociali.
E poi c’è chi grida al “problema della libertà di opinione in Europa”, denunciando una presunta repressione – che chi frequenta i movimenti di destra radicale conosce bene. Peccato che siano spesso gli stessi che strizzano l’occhio ai modelli politici e sociali russi, cinesi o sudamericani. Valli a capire.
Le contraddizioni del “mondo multipolare”
E come tralasciare, nella fiabesca narrazione del “mondo multipolare” che dovrebbe spezzare le catene dell’oppressione globale, l’appoggio di Cina, Russia e Israele alla giunta militare del Myanmar. Un aiuto che si traduce in tecnologia militare utilizzata quotidianamente per massacrare i Karen, i Kachin, gli Shan e le altre minoranze etniche, sacrificate sull’altare dei gangster di Rangoon.
La domanda, allora, sorge spontanea: parliamo di una diffusa mancanza di informazione e di analisi internazionale, o di qualcuno che ha tutto l’interesse a propinare una narrazione partigiana?
Filippo Castaldini