
In questo ultimo caso c’è una nota di orrore in più: la pseudo legalità che si è voluto dare alla violenza. La ragazza è stata infatti “processata” da un improvvisato “tribunale popolare” radunatosi in fretta e furia dopo aver scoperto che la ragazza aveva una relazione con un giovane di un diverso villaggio e, pare, anche di diversa confessione religiosa.
La “corte” ha chiesto alla giovane donna di pagare una multa di 50,000 rupie (circa 600 euro): quando questa ha affermato di non possedere una tale somma, il capo del villaggio ha ordinato che gli uomini “si divertissero” con lei. Di 13 stupratori 10 avevano composto il “collegio giudicante”. A cominciare dal capovillaggio.
La famiglia è stata costretta a rimanere in casa nella notte in cui si è consumata la violenza, bloccata dagli altri abitanti del paesino, e minacciata di ritorsioni se si fossero rivolti alle autorità. Cosa che però per fortuna è stata fatta.
La ragazza, dopo essere stata ricoverata in ospedale per le gravi ferite subite, è ora ospitata presso una casa-famiglia. Il governo indiano ha arrestato gli stupratori e conferito alla giovane un attestato per il suo coraggio.
La vicenda pone in luce la superficialità con cui il governo dell’India liquida di solito i crimini ai danni dei suoi cittadini (tranne quando secondo il governo del subcontinente i colpevoli sono fucilieri di marina italiani): una simbolica pacca sulla spalla, un processo che, visti i tempi della poco efficiente giustizia indiana, disperiamo di veder celebrato, e una totale mancanza di analisi sulla dinamica dell’evento.
Valentino Tocci