Roma, 2 ott – Nel lessico della diplomazia internazionale la parola pace è diventata una moneta usurata, spesso coniata da chi non l’ha mai conosciuta, o voluta. Tony Blair, l’ex premier britannico oggi candidato a far parte del Consiglio di pace per Gaza voluto da Donald Trump, ne è l’esempio più chiaro: un uomo che ha trascorso vent’anni ad accendere micce, e che adesso si propone di spegnerle.
Blair e la fialetta che incendiò il Medio Oriente
Per capire come Blair arrivi a Gaza bisogna tornare al febbraio del 2003. Il mondo guardava in diretta tv Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’Onu mentre agitava una piccola fialetta di polvere bianca per dimostrare che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa. Quella prova, rivelatasi poi una delle più celebri truffe della storia recente, si basava su un dossier fornito a Washington proprio dall’amministrazione Blair. Bastò quella bugia per scatenare una guerra che devastò l’Iraq, aprì il varco al jihadismo regionale e fece a pezzi l’equilibrio già fragile del Medio Oriente. E così, archiviata la stagione a Downing Street, Blair nel 2007 non lasciò il palcoscenico: diventò inviato speciale del Quartet per il Medio Oriente – Usa, Ue, Onu e Russia – incaricato di far avanzare il processo di pace israelo-palestinese. Un decennio in missione, un decennio di sterili tavoli negoziali. Il suo primo piano, che avrebbe legato l’economia palestinese a quella israeliana, finiva per legittimare le colonie di Tel Aviv e venne bocciato sul nascere. Mentre Hamas consolidava il controllo su Gaza e le tensioni con Israele esplodevano, l’inviato speciale rimase al suo posto senza produrre risultati. Nel luglio 2014, nel pieno di un’offensiva israeliana che faceva salire il bilancio dei morti palestinesi oltre il migliaio, il Mail on Sunday rivelò che Blair era in Inghilterra a organizzare il party per il 60° compleanno della moglie Cherie: 150 invitati, champagne, intrattenimento, un conto da oltre 50mila sterline. Il contrasto fra le macerie di Gaza e i brindisi nel Buckinghamshire racconta più di mille analisi.
Dal “global change” alle casse del Golfo
Concluso il mandato di inviato, Blair fondò nel 2016 il Tony Blair Institute for Global Change, creatura con oltre 900 dipendenti e il compito – dichiarato – di aiutare i governi a costruire “società aperte e inclusive”. A crederci per primi furono i sauditi, che nel 2018 versarono all’istituto 9 milioni di sterline. Un sostegno non casuale: Blair ha coltivato rapporti stretti con le monarchie del Golfo, in particolare con il principe ereditario Mohammed bin Salman. Nello stesso periodo l’ex premier entrava come senior advisor in JP Morgan, colosso della finanza legato – tramite la controllata Elbit Systems – alla produzione di armamenti destinati a Israele. L’Onu chiese alla banca di interrompere i trasferimenti di armi verso Tel Aviv, ma JP Morgan non rispose e Blair non fece una piega. Negli ultimi anni Blair ha trovato un nuovo alleato in Jared Kushner, genero di Trump, uomo d’affari legato al Public Investment Fund saudita, lo stesso fondo che insieme a Silver Lake e alla sua Affinity Partners ha appena acquisito Electronic Arts per 55 miliardi di dollari – 20 dei quali arrivati da JP Morgan, dove siede Blair. Fra un affare e l’altro, i due hanno avuto tempo di elaborare un piano per Gaza, concepito senza coinvolgere la leadership palestinese e criticato da europei e arabi per lo sbilanciamento a favore delle esigenze di sicurezza israeliane. Nonostante le obiezioni, l’idea è sopravvissuta nella formula annunciata da Trump il 29 settembre: un comitato tecnico palestinese per l’amministrazione quotidiana e un board of peace internazionale – presieduto nominalmente dallo stesso Trump – con Blair come figura di maggior peso, incaricato di vigilare sul cessate il fuoco e di fare da ponte fra l’autorità locale e la comunità internazionale.
Vent’anni dopo la fialetta
Blair torna così protagonista di un conflitto che non ha mai saputo risolvere, con un curriculum che passa per la guerra in Iraq, le mediazioni inconcludenti, la festa di compleanno mentre Gaza bruciava, i rapporti con Riad e con le grandi banche d’affari. Vent’anni dopo quella fialetta agitata all’Onu, il “piccolo lord” di Buckinghamshire si ripresenta nel ruolo di arbitro della pace. Ma chi conosce il suo passato sa che, in Medio Oriente, il nome di Tony Blair evoca più i fuochi che le tregue.
Sergio Filacchioni