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Intervista con Alessandro Ariosi: come si costruisce una carriera nell’opera internazionale

by Redazione
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Pochi nomi nel panorama operistico internazionale risuonano con tanta autorevolezza quanto quello di Alessandro Ariosi. Fondatore e direttore di Ariosi Management, ha costruito un’agenzia che oggi rappresenta un punto di riferimento mondiale per cantanti e direttori che desiderano proiettare il proprio talento sui palcoscenici più prestigiosi del mondo. Dall’Italia, sua base operativa, Ariosi ha intessuto una rete di collaborazioni con i principali teatri d’Europa, d’America e d’Asia, seguendo carriere che spaziano da leggende come Plácido Domingo e Leo Nucci, fino a giovani interpreti che iniziano a costruire la propria identità artistica all’interno del repertorio lirico.

 

Laureato in Scienze Politiche, Alessandro Ariosi ha iniziato la sua carriera nel campo della diplomazia e delle relazioni internazionali, ma ben presto ha scoperto nella musica il suo vero linguaggio. Da allora, ha dedicato la sua vita ad accompagnare cantanti, direttori e musicisti in un percorso in cui talento, etica e strategia camminano insieme. La sua visione unisce sensibilità artistica e profonda conoscenza del mercato culturale, qualità che gli hanno permesso di consolidare Ariosi Management come sinonimo di professionalità e qualità nel panorama internazionale.

 

In questa intervista, Alessandro Ariosi riflette sul ruolo dell’agente oggi, sulle sfide del settore, sull’equilibrio tra arte e impresa e sulla responsabilità di tutelare — oltre la carriera — l’essenza umana di ogni artista.

 

Alessandro Ariosi, come è cambiato il ruolo dell’agente lirico negli ultimi anni e quali sfide intravedi per il futuro?

 

È un lavoro che richiede sempre più responsabilità, se svolto con serietà e consapevolezza. La globalizzazione, le nuove forme di comunicazione e i ritmi di produzione hanno trasformato completamente la nostra professione. Un tempo le decisioni venivano prese con maggiore calma; oggi i tempi sono vertiginosi. Vedo una professione sempre più complessa, in cui l’agente deve essere mediatore, stratega e, soprattutto, un consigliere di fiducia.

 

Oggi sembra quasi impossibile fare un’audizione in un teatro senza un’agenzia. Cosa pensi di questo sistema? Come può un giovane cantante emergere senza una rappresentanza?

 

Se un artista è davvero eccezionale, prima o poi emerge. L’agente può orientarne il percorso, ma non dovrebbe limitarsi a cercare audizioni senza un obiettivo chiaro. Esistono concorsi internazionali che rappresentano autentiche vetrine per i giovani: offrono la possibilità di farsi conoscere, ma anche di dialogare con le giurie e ricevere consigli preziosi. Io stesso, quando faccio parte di una giuria, cerco di offrire suggerimenti che aiutino il cantante a trovare la propria strada.

 

Alessandro Ariosi, cosa cerchi per prima cosa quando ascolti un artista?

 

Il fascino nella voce. Prima ancora di una tecnica solida o di una buona presenza scenica. Il teatro non ha bisogno di statue neoclassiche: ha bisogno di emozioni. Ma cerco anche serietà professionale, perché senza di essa un talento può spegnersi rapidamente, come una stella cadente. Ed è frustrante per tutti, anche per l’agente.

 

Si dice che tu abbia una grande capacità di “vendere” i tuoi artisti. Cosa conta di più: il talento o la strategia?

 

La persuasione aiuta, certo, ma non si può vendere cartone ai teatri. Loro chiedono qualità. Se prometti l’artista giusto per un ruolo e non mantieni, ti screditi da solo. Per questo è fondamentale assistere alle esibizioni: non rappresentiamo registrazioni, rappresentiamo persone vive. Le voci cambiano, le interpretazioni evolvono, e io ho bisogno di vedere tutto questo sul palcoscenico.

 

Quale consiglio daresti a un giovane che sogna una carriera nell’opera?

 

Studiare molto e accettare di mettersi costantemente alla prova. La voce è la materia prima, ma senza impegno e disciplina non esiste carriera possibile. Amo le voci che possiedono una bellezza naturale e una speciale empatia con il pubblico, ma ammiro anche chi non si arrende davanti alle esigenze quotidiane che questo mestiere comporta.

 

Pensi che il mercato italiano si comporti diversamente rispetto a quello estero nella formazione dei cantanti?

 

Sì, molto. In Italia abbiamo voci meravigliose, ma a volte manca la disciplina. In altri paesi, soprattutto nell’Europa dell’Est, gli artisti uniscono bellezza vocale e preparazione musicale rigorosa. Sono instancabili, lavorano come atleti. Per loro il canto è un allenamento continuo, non una prova occasionale. Questa mentalità fa davvero la differenza.

 

Hai rappresentato leggende come Plácido Domingo e Leo Nucci. Qual è il segreto per mantenere il successo nel tempo?

 

La verità è che loro sono il vertice. Da bambino collezionavo i loro dischi e aspettavo ore per ascoltarli in teatro. Rappresentarli oggi è un privilegio. Sono professionisti esemplari, esigenti, umili e profondamente rispettosi di chi li circonda. Con loro l’intesa è immediata, perché condividono la mia visione: non si smette mai di imparare. Vedo il mio lavoro come quello di un sarto: devo conoscere l’artista a fondo per adattare il “vestito” — la sua carriera — a ogni momento della sua vita artistica.

 

Dopo tanti traguardi, c’è ancora un sogno da realizzare?

L’entusiasmo per il mio lavoro è lo stesso del primo giorno. Mi appassiona scoprire nuovi talenti, accompagnarli e vederli crescere. Forse un giorno mi attirerà la direzione artistica, ma per ora mi godo ogni spettacolo, ogni nuova voce, ogni progetto. L’opera è viva, e questo mi dà l’energia per continuare.

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