Roma, 13 nov – Ci risiamo: il ministro della Difesa Guido Crosetto l’ha rifatto. Dopo i funerali dei tre carabinieri morti in seguito ad una esplosione di un casolare nel veronese oggetto di sfratto, con tono commosso e partecipato aveva chiamato il “Presente”. Stavolta in occasione della ricorrenza dell’attentato dei nostri militari a Nassiriya vi è stata una denuncia, arrivata da parte del Sindacato dei militari che l’11 novembre scrive testualmente: “Abbiamo appreso che domani, 12 novembre 2025, in occasione della celebrazione della ‘Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali’ si svolgerà, presso il Quartier Generale della Marina Militare a Napoli, l’Assemblea generale nel corso della quale alla lettura dei singoli nominativi dei caduti il personale militare schierato dovrà rispondere ‘Presente’. È doveroso il ricordo di tutti coloro che hanno sacrificato la loro vitanelle missioni internazionali alle quali ha preso parte l’Italia e riteniamo più adeguato osservare un minuto di composto silenzio per non vanificare la solennità dell’evento perché, diversamente, il grido ‘Presente’ potrebbe apparire come una rievocazione nostalgica delle tristi adunate del secolo scorso. Invitiamo il vertice militare del Quartier Generale della Marina Militare di Napoli ad annullare la disposizione impartita al personale”.
L’interrogazione parlamentare di Ilaria Cucchi contro il “Presente” per i caduti di Nassiriya
Ovviamente sul fatto non si poteva non montare un nuovo caso politico stavolta cavalcato non da una come la Salis, che pure in questi giorni si è lasciata andare a dichiarazioni che sono semplicemente degne di lei, ma l’interrogazione parlamentare è stata presentata addirittura da una improvvisata e neofita antifa che risponde al nome di Ilaria Cucchi. Un’altra onorevole in cerca di visibilità che vuole appropinquarsi al desco del Fascismo, pur di mangiare. Fa ridere. Come la Salis che non ha mai lavorato in vita sua e che posta idee rivoluzionarie circa il lavoro, che difende a parole un compagno della banda del martello, il quale rischia un periodo di detenzione nelle carceri ungheresi, e che lei in maniera onorevolmente vile ha abbandonato alla sua sorte. Una contraddizione definire Orban criminale e il ragazzo un manifestante. Chi non manifesta con un martello nello zaino? Un ossimoro, proprio come il sindacato nell’ambito militare.
Il titolare diPalazzo Baracchini pare se ne sia fregato e abbia tirato dritto. Eppure il “Presente”, che immancabilmente agita lo spettro del fascismo da tutti questi onorevoli acchiappiafantasmi d’accatto, era pratica in uso proprio nelle guerre. Dopo un’operazione militare, infatti, si era soliti fare l’appello per avere contezza delle perdite e, se un combattente era caduto, i commilitoni in coro urlavano “Presente!”. Un modo per esprimere lo spirito di corpo ancora vivo, un estremo tentativo di sentirsi un tutt’uno ancora una volta. Per sentire ancora presente anche chi non c’era più. Le guerre pare siano riconducibili a prima del Ventennio fascista e, comunque, non ne sono accadute di nuove dopo il ’43 che hanno riguardato l’Italia. Sempre che il vizietto tipico della parte “giusta” d’Italia non abbia riscritto la storia fino a questo punto.
L’ennesima strumentalizzazione politica in nome dell’antifascismo
Difficile, però, onorare un simile concetto da parte di chi un rito antichissimo e potente lo ribattezza come sterile “grido”. Eppure se avesse voluto interrogare il Ministro avrebbe potuto chiedere ben altro sulle vittime di Nassiriya. Avrebbe potuto chiedere di Matteo Piras, caporalmaggiore che è diventato, suo malgrado e a sua insaputa, il volto della strage di Nassiriya. Il noto milite ritratto con una mano sull’elmetto e l’altra che sorregge l’arma abbassata: non sapeva di essere stato immortalato da Anya in quel momento tragico, con lo scheletro della Maestrale ancora fumante. Quella foto l’ha vista poi a casa, gliel’ha fatta vedere sua madre: non ha più voluto rivederla. Che ne sa la Cucchi che Nassiriya per chi c’era è diventata sinonimo di puzzo di carne bruciata che ha impestato l’aria per giorni. O dei segni dell’esplosione sulle mura della Libeccio, l’altra base su cui sventolava il nostro tricolore. Avrebbe potuto chiedere se è vera la storia della restituzione della medaglia d’oro del carabiniere superstite Pietro Sini che si è visto rifiutare dallo stato l’aggravamento della sua malattia e della conseguente risposta dello stato che gli ha addebitato i costi sostenuti per coniare la medaglia. Con tanto di raccomandata consegnata da personale in uniforme e stellette sull’uscio di casa. O della causa che lo stato ha intentato al generale Strano, promosso a capro espiatorio a causa dei tristi fatti occorsi: la base era posizionata male, mancava un percorso di avvicinamento e tanti altri cavilli che può partorire solo chi è immerso nelle carte dietro la scrivania della cittadella fortificata che lascia solo per andare a sbarbarsi a scrocco, prima di posare per il calendario del nuovo anno che sta per arrivare. Avrebbe potuto chiedere in merito al rifiuto del TFR che lo stato ha dato come sola risposta alla morte del caporale dei Lagunari Matteo Vanzan, in quanto alla “missione di pace” Antica Babilonia aveva partecipato da volontario in ferma breve. Che poi è il solo modo per accumulare punteggio e sperare di passare in servizio permanente effettivo. Magari del rifiuto della concessione – è una brutta parola, ma è la sola giusta – della medaglia d’oro ai dodici Carabinieri caduti, ai cinque militari dell’Esercito italiano e ai due civili. Meglio cavilli burocratici, formalismi e vuota retorica interessata, ma non interessante e polemica per dare fiato alla bocca.
D’altronde la politica, le istituzioni vinte alla ruota della sfortuna, questo stato non parlano di eroi, che solitamente sono uomini morti, ma si riempiono la bocca con “vittime di Nassiriya”. Per lo meno, una volta, chiamano le cose col loro nome. Vittime di questa infinita strumentalizzazione. Perché dei caduti, dei morti alla Cucchi non importa assolutamente, ma fa solo di necessità virtù. Ancora una volta. Forse, come suggerisce il sindacato, meglio annullare l’interrogazione a vantaggio di un minuto di silenzio. E altrettanti di vergogna.
Tony Fabrizio