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Oltre la quota: difendere la montagna come comunità, non dato statistico

by La Redazione
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Roma, 1 sett – L’articolo 2 del disegno di legge di iniziativa governativa n. 1054-B, attualmente in discussione per la seconda volta al Senato della Repubblica dopo le modifiche apportate dalla Camera dei Deputati, rappresenta un caso emblematico di cattiva tecnica normativa e di disallineamento rispetto ai principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e di solidarietà territoriale.

I comuni di montagna al centro di un nuovo dpcm

La disposizione si articola in due passaggi distinti. Il primo, contenuto nel comma 1, demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, su proposta del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, sentiti anche i Ministri interessati e previa intesa in sede di Conferenza unificata, la classificazione dei Comuni montani, fondata unicamente su criteri altimetrici e di pendenza elaborati dall’ISTAT. Il secondo, previsto al comma 2, stabilisce che, nell’ambito di tale elenco, un ulteriore DPCM individui i Comuni effettivamente destinatari delle misure di sostegno e delle agevolazioni previste nei capi III, IV e V della legge, mediante una ponderazione tra i parametri fisici del comma 1 e criteri geomorfologici e socio-economici. Già la scelta della fonte appare criticabile. Il DPCM è atto formalmente amministrativo ma sostanzialmente normativo, sottratto al controllo preventivo di legittimità e al vaglio parlamentare. L’esperienza pandemica, nella quale i DPCM vennero usati per incidere su diritti fondamentali, ha mostrato i rischi di un ampliamento improprio di questa fonte. Qui, in modo analogo, la determinazione dei Comuni montani viene sottratta alla centralità del Parlamento, con un evidente deficit di legalità costituzionale.

Svuotamento della qualifica “Comune montano”

Ancora più grave è la contraddizione tra i criteri adottati. Nel comma 1, la montanità è ridotta a un fatto altimetrico: conta solo l’altezza o la pendenza del territorio comunale. È una definizione meramente fisico-geografica, già utilizzata in passato, che ignora la realtà socio-economica dei territori, producendo esiti paradossali. Comuni collocati a quote elevate ma dotati di servizi, collegamenti e capacità fiscale adeguata vengono inclusi, mentre altri, situati a quote inferiori ma segnati da isolamento, spopolamento e carenze strutturali, restano esclusi. Ne deriva una discriminazione irragionevole in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, che impone trattamenti proporzionati alle condizioni reali. Il comma 2 sembra correggere questa rigidità, introducendo anche criteri socio-economici nella selezione dei Comuni che avranno accesso alle misure di sostegno. Tuttavia, la correzione resta parziale e contraddittoria. Tali criteri non incidono sulla definizione di “Comune montano” in sé, bensì solo sull’individuazione di una seconda categoria: quella dei beneficiari concreti delle agevolazioni. Si genera così un doppio binario: da un lato, una categoria giuridica generale, individuata con criteri puramente fisici; dall’altro, un sottoinsieme di Comuni destinatari delle politiche pubbliche, selezionato secondo parametri più articolati. La categoria formale e quella sostanziale non coincidono: la prima ha valore classificatorio, la seconda ha valore operativo. Questa frattura logica mina la certezza del diritto e svuota la qualifica giuridica di “Comune montano” di ogni effettivo contenuto.

Viene meno è la comprensione della montagna come realtà storica

Dal punto di vista costituzionale, l’impianto risulta incompatibile sia con l’art. 3, sia con l’art. 119 della Costituzione. Quanto al primo, la duplice selezione determina trattamenti diseguali tra territori che si trovano in condizioni sostanzialmente analoghe. Quanto al secondo, la funzione perequativa che la Costituzione affida alla Repubblica viene compromessa: la perequazione territoriale non può essere fondata su un criterio altimetrico astratto, né confinata a un sottoinsieme di Comuni scelti con atto amministrativo. La garanzia costituzionale richiede invece una legge che individui parametri chiari e coerenti per rimuovere gli squilibri economici e sociali. In ultima analisi, oltre alle criticità giuridiche, vi è un vizio filosofico profondo. L’articolo 2 riduce la montagna a categoria numerica e statistica, un insieme di dati da elaborare con formule altimetriche e indici socio-economici. Ciò che viene meno è la comprensione della montagna come realtà storica e comunitaria, luogo in cui si intrecciano tradizioni, economie, culture e forme di vita che necessitano di tutela non per la quota altimetrica, ma per la loro intrinseca fragilità e per il loro valore per l’intero corpo sociale.

La montagna come dato amministrativo

La norma riflette dunque la deriva positivistica e tecnocratica del diritto contemporaneo: la montagna non è più comunità vivente da sostenere, bensì dato amministrativo da classificare. Si perde così la finalità teleologica del diritto come ordinamento del giusto, che non può ridursi a schema burocratico, pena lo svuotamento della legge stessa e la rinuncia alla politica come arte del bene comune.

Daniele Trabucco

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