



Ed è sempre l’aria l’elemento dominante alla sera, quando assisto ad un’esibizione di Zurkaneh, letteralmente “casa della forza”, un’antica ginnastica persiana a metà tra arte marziale e danza derviscia. Al ritmo di un tamburo tradizionale e del canto che evoca versi coranici e del poeta Hafez, atleti di ogni età si esibiscono facendo roteare sopra la testa pesanti catene di ferro, lanciando in aria enormi birilli e volteggiando come danzatori sufi. Forza e spirito.
Terra – Freddo. Sull’autobus Vip che percorre il lungo e arido tragitto tra Yazd e Teheran maledico l’inventore dell’aria condizionata, per la cronaca sepolto a Buffalo negli States ma purtroppo mai raggiunto da fatwe. Che sempre per la cronaca sono erroneamente tradotte come “condanne a morte”, mentre in realtà sono semplicemente risposte date da un giudice qualora interpretato su un determinato argomento riguardante la liceità o meno di uno specifico comportamento secondo la Sharia (“legge di Dio), la legge islamica anch’essa spesso interpretata a casaccio e in senso forzatamente negativo in Occidente. Freddo e stereotipi a parte, in Iran gli autobus sono modernissimi, puliti e puntuali. Tanto per tornare agli stereotipi: esattamente l’opposto dei pessimi Greyhound statunitensi.


Spy story – Ricorderete la crisi degli ostaggi in Iran, ovvero la rottura diplomatica generatasi con l’occupazione dell’ambasciata statunitense di Teheran da parte di studenti iraniani, che presero in ostaggio 52 membri della rappresentanza americana. Oggi l’ex ambasciata è stata trasformata in museo o meglio nel “Covo dello spionaggio americano”. Purtroppo visitabile soltanto pochi giorni all’anno, lo trovo chiuso. Hosseyn mi spiega che al suo interno sono in mostra i documenti ritrovati nell’edificio durante l’occupazione degli studenti che testimoniano il ruolo chiave di spionaggio svolto dai servizi americani, i quali progettavano probabilmente un 
“Dopo tutti questi anni di sanzioni, attacchi mediatici, fango gettato su di noi, nessuno può opprimerci. Abbiamo dimostrato di saper resistere a qualunque cosa”, ne è sicuro Ali Jafarabadi, direttore dell’Istituto Culturale Imam Moussa Sadr. E’ lui ad accogliermi, offrendomi tè e torroncini al pistacchio, all’interno del centro aperto dalla figlia dell’Imam per diffondere le idee del padre e proseguire le sue ricerche. Moussa Sadr scomparve nel 1978 in Libia, per alcuni fu fatto uccidere da Gheddafi che ne temeva il carisma, per altri è ancora in vita e tenuto prigioniero a Tripoli. Di sicuro si tratta di una delle figure più importanti e al contempo misconosciute del Medio Oriente. Iraniano, poliglotta e apprezzato anche dalle comunità cristiane per il suo equilibrio, fu il fondatore in Libano del movimento Amal. Sadr è tuttora considerato figura di riferimento da Hezbollah che ne ha recentemente parlato così: “Imam Musa al-Sadr è l’imam della resistenza, l’imam del dialogo, dell’apertura e della moderazione. Il percorso, l’approccio e le idee di Imam Sadr rimarranno il faro che illumina il nostro modo di affrontare le minacce che colpiscono la nostra nazione e in particolare il pericolo rappresentato dal terrorismo.”
Ali mi racconta che anche l’Italia in qualche modo non fu estranea alla sua scomparsa. “Alcuni sostengono che l’Imam partì da Tripoli con un volo diretto a Roma – mi dice il direttore dell’Istituto – la magistratura italiana anche su nostra sollecitazione ha indagato esprimendo in più di vent’anni tre responsi: prima ha sostenuto che non era mai giunto in Italia, poi ha rettificato dicendo che forse sì ma se ne erano perse le tracce, di nuovo ha cambiato idea dicendo che no, a Roma non ha mai messo piede.” Ali mi guarda perplesso. Purtroppo dopo giorni di continuo stupore in Iran, ricordo che l’Italia ha smesso di stupirmi. Ma è Mohammad, uno studente di Ingegneria che incontro in un caffè di Teheran, a tenermi sul pezzo: “Ricordatevi che voi avete avuto l’Impero Romano, noi quello Persiano. Siamo entrambi destinati ad essere il centro dei nostri mondi. Ed anche se a volte ci siamo scontrati, nessuno potrà mai fare a meno di noi. Basta guardare una cartina geografica per capirlo.”
Sta a noi decidere quindi, stupor mundi o spy story?
Eugenio Palazzini
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