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La Corte Ue affossa il protocollo Albania: ma il problema è tutto italiano

by La Redazione
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Corte Ue

Roma, 1 ago – Dopo mesi di scontro istituzionale e politico sul tema dell’immigrazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea mette ufficialmente nel mirino il protocollo Italia-Albania, dando torto all’impianto normativo su cui il governo Meloni aveva costruito una delle sue principali risposte al caos migratorio. Secondo la Corte, i giudici nazionali devono avere la possibilità di verificare caso per caso se un “Paese d’origine sicuro” lo sia davvero per ogni richiedente asilo. Tradotto: il concetto di “Paese sicuro” viene svuotato di significato e ogni rimpatrio rischia di diventare un’odissea giudiziaria.

La Corte Ue affossa il protocollo Albania

Ma attenzione: questa non è una bocciatura politica dell’Europa contro l’Italia. Anzi, è l’occasione per mettere a fuoco ciò che troppi fingono di non vedere. La Commissione Europea – l’organo esecutivo dell’UE – aveva già dato parere favorevole al protocollo Italia-Albania. Era e resta convinta della sua compatibilità con le norme europee. A bloccarlo non è Bruxelles, ma la magistratura italiana, affiancata ora dalla sponda tecnica della Corte Ue. È bene ricordare che l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) – non certo un soggetto imparziale – da tempo sostiene la tesi secondo cui la designazione dei Paesi sicuri deve sempre poter essere rimessa in discussione dai giudici. Lo ha ribadito con entusiasmo anche in queste ore. La sentenza di Lussemburgo, quindi, non rappresenta una rivoluzione giuridica, ma la consacrazione di una prassi consolidata nei tribunali italiani, dove le sezioni specializzate in immigrazione si muovono in perfetta sintonia con un’ideologia che considera ogni controllo come una violazione dei diritti. Non è un caso che la sentenza della Corte Ue nasca da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma, già protagonista della controversa sentenza del 23 ottobre 2024. Una sentenza firmata dalla dottoressa Albano, nota per la sua appartenenza alla corrente di Magistratura Democratica, e per le sue posizioni pubbliche favorevoli all’accoglienza illimitata. È legittimo, quindi, porre il dubbio sull’imparzialità di un giudice che ha fatto delle posizioni immigrazioniste una cifra della propria carriera.

L’illusione del “controllo giurisdizionale”

La Corte di Lussemburgo ha ribadito che la designazione di un Paese come sicuro deve essere soggetta a un “controllo giurisdizionale effettivo”. In teoria, nulla da obiettare. Ma nella pratica italiana, ciò significa che qualsiasi norma approvata dal Parlamento può essere bloccata, reinterpretata o svuotata di senso da una parte della magistratura, che considera il diritto come terreno d’intervento politico. A tutto questo si aggiunge una distorsione ulteriore: le fonti su cui si basano le valutazioni del governo possono essere ignorate, mentre i giudici possono appellarsi a rapporti di Ong, articoli di stampa o documenti di parte, magari stilati da quegli stessi circuiti internazionali da sempre ostili a ogni politica di contenimento dell’immigrazione. Chi, nel centrodestra, si è affrettato a prendersela con “l’Europa che impone”, commette un errore strategico. Il problema è tutto italiano, ed è profondo e strutturale. Non solo perché la Commissione Europea aveva dato il via libera al piano, ma soprattutto perché il vero blocco arriva da una parte della magistratura che, da anni, agisce come soggetto antagonista al potere politico legittimato dal voto.

Berlino e Parigi rimpatriano in Siria e Afghanistan

Il paradosso è servito. Mentre in Italia ogni decisione del governo in materia migratoria viene sottoposta al vaglio censorio di giudici spesso ideologizzati, in altri grandi Paesi dell’Unione Europea si procede senza troppi tentennamenti. A dimostrarlo, l’incontro tenutosi recentemente in Baviera tra i ministri degli Interni di Germania, Francia, Austria, Danimarca, Repubblica Ceca e Polonia, dove è stata sottoscritta una dichiarazione congiunta per aumentare drasticamente i rimpatri – anche verso Paesi come Siria e Afghanistan, considerati notoriamente instabili. Non si tratta di semplici enunciazioni, ma di azioni concrete e già operative: la Germania, proprio questa settimana, ha rimpatriato 81 cittadini afghani con precedenti penali (in Italia abbiamo aperto un caso mediatico su nemmeno 40 trasferiti in Albania), applicando una disposizione dell’accordo di coalizione che prevede la possibilità di espulsione verso Paesi ad alto rischio, purché si tratti di soggetti pericolosi o condannati. “Nel nostro Paese non esiste alcun diritto di soggiorno per i criminali gravi”, ha dichiarato senza mezzi termini il ministro tedesco Alexander Dobrindt. La Francia, da parte sua, espelle regolarmente soggetti ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico, anche in assenza di condanne penali definitive. In Italia, invece, anche il semplice trasferimento temporaneo in un centro di trattenimento in Albania viene bloccato da una sezione specializzata del Tribunale di Roma. Il tutto in nome di un’interpretazione soggettiva e politica del concetto di “Paese sicuro”, mentre il legislatore – cioè il Parlamento – viene messo all’angolo. Il giudice non si limita a verificare un atto: nega la validità di un impianto normativo approvato democraticamente.

La Corte Ue e la morale “a due facce”

Questo porta alla domanda che nessuno, nei palazzi della sinistra o della magistratura progressista, vuole affrontare: perché ciò che è possibile in Germania e Francia diventa “illegittimo” in Italia? Forse i giudici tedeschi ed europei tollerano espulsioni verso l’Afghanistan solo quando a disporle è Berlino? O forse, più semplicemente, la differenza è che in Germania e Francia i governi governano, mentre in Italia si deve chiedere il permesso ai magistrati? La realtà è che non esiste una linea comune europea sul concetto di “Paese sicuro”: esiste una diversa volontà politica di esercitare sovranità e garantire sicurezza ai propri cittadini. In Italia, invece, si è creata una struttura para-giurisdizionale che trasforma ogni diritto individuale in una barriera invalicabile contro qualsiasi politica migratoria. Il risultato è che l’Italia è costretta a subire i flussi, mentre gli altri Paesi li regolano e li selezionano. Insomma, senza scomodare nessuna retorica, la vera anomalia è tutta italiana: una magistratura che decide al posto del legislatore e blocca l’esecutivo, in una supplenza di potere che non ha paragoni nel continente.

Vincenzo Monti

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