Roma, 28 ago – Una certa narrazione su CasaPound – sull’occupazione del palazzo di Via Napoleone III, piuttosto che sul movimento politico, in questo caso – si alimenta di luoghi comuni, mezze verità (che poi sono bugie per intero), voci correnti, diffamazioni, se non proprio calunnie. A guardar bene la vicenda, tuttavia, emerge qualcosa di assai diverso. Qualcosa che, insieme a un pizzico (giusto un granello, non di più) di onestà intellettuale, dovrebbe indurre a rivedere un po’ i toni e i termini delle polemiche che di tanto in tanto, quando si vuol buttare la palla in tribuna nella contesa politica, vengono sollevate.
Un’occupazione come ce ne sono altre
Basta sottoporre questa narrazione a un serrato controllo – un fact checking direbbero quelli che non sono bravi per niente – e consultare davvero gli atti amministrativi e giudiziari che hanno riguardato l’occupazione del palazzo in questi venti anni. Qualche parola chiave, di quelle che tanto ricorrono nel dibattito, può aiutare a chiarire la situazione e a sapere di cosa si parla, quando si evoca il nome di CasaPound. CasaPound è un’occupazione, come ce ne sono molte altre a Roma e in Italia. Non è per questo che la condotta è scriminata, ma è quantomai singolare invocare misure drastiche soltanto in questo specifico caso. Dunque, è stato violato l’art. 633 c.p., non c’è dubbio, ma per questo è ancora aperto un processo, nel quale si dovrà affrontare anche il tema dello stato di necessità degli occupanti che esclude la punibilità del fatto. Si può poi aggiungere che, diversamente da quanto accade in molte altre occupazioni, nel palazzo di Via Napoleone III non sono mai stati commessi altri reati, nè sono sorte problematiche per l’ordine e la sicurezza pubblica. La convivenza nel quartiere multietnico dell’Esquilino è sempre stata pacifica e serena. La prova? Non ci sono processi e, tantomeno condanne, per fatti avvenuti all’interno del Palazzo.
Parlare d’impunità è fuori luogo
È collegata alla prima perchè spesso si sostiene che nessuno degli occupanti sia mai stato chiamato a rispondere per la sua azione. Di processi per l’occupazione, invece, ce ne sono stati tanti. I primi si sono chiusi con un nulla di fatto, in termini giudiziari, e persino con qualche assoluzione. L’ultimo, invece, si è concluso con una pesante condanna: 2 anni e due mesi di reclusione per gli imputati. La sentenza non è definitiva e c’è da vedere cosa accadrà in appello. Ma un dato è comunque molto significativo: se non è la prima condanna per occupazioni di immobili a Roma, probabilmente, è quella che ha irrogato la pena più grave. E allora chi dice che c’è una disparità di trattamento per CasaPound e i suoi occupanti, per completezza dovrebbe aggiungere che non è a loro favore. Insomma, parlare di impunità è veramente fuori luogo.
Non è una sede politica
Nella migliore delle ipotesi si descrive il Palazzo esclusivamente come una sede politica, e perciò si sostiene che sarebbe stato sottratto un immobile alla collettività che non potrebbe più farne uso. Cominciamo dall’inizio: il Palazzo era vuoto e non era utilizzato da tempo. Anche questo è scritto nero su bianco su una sentenza (che questa volta è passata in giudicato). Detto questo, è vero che CasaPound è movimento politico che ha sede nel Palazzo di Via Napoleone III, ma ciò non significa che tutto l’immobile sia adibito ad attività politiche. Al contrario, soltanto poche stanze sono utilizzate per l’attività della Associazione, tutto il resto è destinato ad abitazione, coerentemente con lo scopo dell’occupazione. La prova? Tanti parlano di un’ispezione della Guardia di Finanza su mandato della Corte dei Conti, ma se leggessero il verbale si accorgerebbero che descrive minuziosamente la struttura dell’immobile e la destinazione delle singole parti. E poi, facendo un passo indietro, la destinazione abitativa e la presenza di persone in condizioni di estremo disagio economico è attestata, tra l’altro, da innumerevoli verbali del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Comunque, le persone brave e oneste sono sempre benvenute a CasaPound, così chi vuole può venire a constatare di persona.
Inquilini in stato di necessità
E veniamo agli occupanti. Chi sono? Stando alla narrazione diffusa nell’opinione pubblica sarebbero nazibenestanti con il vizio della rivoluzione a spese dello Stato e degli italiani. La verità è un’altra, e, come dimostrano sempre i verbali del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e le indagini della Corte dei Conti, nel Palazzo hanno abitato e abitano persone in condizioni di estremo disagio che non avevano altro posto dove rifugiarsi. Il codice penale lo chiama “stato di necessità” ed esclude perciò la punibilità del reato di occupazione. È vero che alcune di queste persone percepiscono un reddito, ma è anche vero – e questo nessuno lo dice, perchè non lo sa o non lo vuol dire – che i redditi non sono affatto sufficienti per sopravvivere, se si dovesse pagare un mutuo o un canone di locazione, da soli o con una famiglia a carico.
Il danno erariale dell’occupazione
L’occupazione avrebbe arrecato un danno enorme all’erario: oltre quattro milioni di euro. Tutti lo ripetono, ma probabilmente nessuno sa come si è arrivati a questa somma abnorme. A ben vedere, i criteri utilizzati all’epoca dell’indagine della Corte dei Conti non si attagliano alla tipologia di immobile e alla sua destinazione e non tengono conto di tante altre circostanze: ad esempio, la manutenzione del Palazzo, che è stata sostenuta dagli occupanti e, comunque, il fatto che lo Stato ha realizzato notevoli risparmi laddove non ha dovuto occuparsi di risolvere l’emergenza abitativa nella quale versavano gli occupanti. Comunque, anche su questo punto si è pronunciato un giudice: nel processo a carico degli occupanti, l’Agenzia del Demanio si è costituita parte civile e ha chiesto la condanna al pagamento di oltre cinque milioni di euro. Il giudice, però, ha riconosciuto soltanto una provvisionale di ventimila euro, rinviando al giudice civile per l’esatta quantificazione.
Il fascismo non è reato
Qualcuno ha detto che CasaPound va sgomberata non perchè è un’occupazione illegale, ma perchè è un’occupazione fascista. Gli va riconosciuto senz’altro il merito di aver messo da parte l’ipocrisia palesando le ragioni della sua avversione. Tuttavia, gli va contestata una scarsa conoscenza di CasaPound e del diritto penale. Ispirarsi al Fascismo non è reato, parlare di Fascismo utilizzando parole e concetti diversi dai ritornelli degli antifascisti non è reato, rendere attuali alcune tesi del Fascismo non è reato. È reato farne l’apologia, è reato utilizzare metodi violenti e antidemocratici per ricostituire un partito di matrice fascista. Ma a CasaPound tutto ciò non è mai avvenuto. La prova? Anche in questo caso una sentenza, quella del Tribunale di Roma che ha respinto l’azione volta a impedire che CasaPound utilizzasse il nome del Poeta. È di qualche anno fa, ma nulla è cambiato da quel giorno.
Dall’occupazione alla regolarizzazione
Il Ministro della Cultura è stato sommerso di critiche per aver coraggiosamente prospettato una soluzione che riconducesse l’occupazione del Palazzo in una condizione di legalità. Niente di nuovo sotto il sole, se si guarda ai tanti immobili occupati che sono stati in qualche modo regolarizzati. Disturba allora che questa volta a beneficiare di una regolarizzazione sia una “occupazione non conforme”. CasaPound, comunque, aveva già invitato il Demanio a intavolare una trattativa per risolvere il problema. Potrebbe essere la volta buona? Si potrebbero utilizzare ancora tante altre parole per parlare della dimensione politica, sociale e culturale di CasaPound, delle tante attività che si sono svolte nel Palazzo e delle tante persone, più o meno famose, che hanno partecipato a queste iniziative. Ma ci torniamo tra un pò, prima vediamo se dall’altra parte si riesce a reimpostare il dibattito dopo averlo disintossicato da tutte queste scorie.
Asgar