Roma, 30 sett – Il 23 settembre del 63 a.C la gens Iulia si manifestò in colui che sarebbe diventato il suo figlio migliore, il Divo Augusto. Il 23 settembre del 1943 la più audace, originale, europea e mediterranea delle Idee si manifestò in una gloriosa pagina di tragicità, eroismo, gerarchia, volontà di potenza, la Repubblica Sociale Italiana. Noi che non abbiamo il caso che orienta la nostra azione e la nostra vita, non possiamo non notare le assonanze che legano questi due eventi, nonostante la distanza temporale che li separa.
Da Augusto alla Rsi
La gens Iulia discende da Iulo, figlio di Enea, discendente della Dea Venere. Dalla stirpe di Enea, com’è noto, nascerà la lunga genealogia dei re di Albalonga, dai quali, nascerà Numitore, re dei Latini e padre di Rea Silvia, la quale, unendosi a Marte, darà alla luce i due gemelli Romolo e Remo. Per chi ha un’adeguata conoscenza della simbologia tradizionale, il ruolo di Augusto è lampante. Non poteva che essere un uomo che univa in sé tanto l’archetipo della guerra quanto quello dell’amore a rifondare la città eterna, dilaniata dalle guerre civili, proprio perché, la città eterna fu fondata da queste due forze divine. E ogni rifondazione non può non avvenire se non seguendo sempre le stesse leggi cosmiche. Augusto su di sè assunse, da erede tanto di Romolo, quanto di Enea, la funzione di portatore d’amore, che gli permise di costruire la Pax Romana, ma anche la spada, senza la quale non avrebbe potuto distruggere ciò che questa pace minava, Marco Antonio e Cleopatra. Sua Eccellenza che compito assunse su di sé in quello stesso giorno, ben più di 2000 anni dopo? Unire l’amore- che fu la spinta che gli consentì di immaginare la svolta che il fascismo avrebbe dovuto prendere per rispondere al meglio alla sfida del tempo– alla guerra, che, proprio in ossequio al grande amore per la fede fascista, fu combattuta fino all’ultimo istante, senza accettare il compromesso e la sottomissione con la piovra plutocratica. Il 23 settembre del ’43 il Fascismo venne quindi rifondato, e con esso la romanità di cui era permeato, sotto gli archetipi di Venere e Marte, assumendosi la responsabilità di dar compimento al disegno di Augusto, come testimonia la coincidenza di nascita.
Il mese di settembre
Settembre è tradizionalmente il mese della vendemmia e del raccolto finale. Settembre è il mese del giudizio definitivo sul lavoro svolto dagli agricoltori. È a settembre che trova compimento l’idea che si raccoglie ciò che si è seminato. Non potevano che nascere quindi in settembre due momenti cruciali per il destino italico ed europeo e non poteva che a settembre prender forma la somma migliore del genio spirituale romano. La nascita del Divo Augusto e la nascita dell’unica e autentica Repubblica non potevano quindi che verificarsi nel mese di settembre. E proprio in virtù del fatto che settembre è il mese del giudizio definitivo, ad essere conosciuti non sono soltanto i frutti migliori, ma anche i peggiori. L’8 settembre l’infausto tradimento, il 23 l’onore e la fede. In quel mese del ’43 si andò a stabilire chi era indegno erede di Marco Antonio e chi degno erede di Enea, Romolo e Augusto. Simbolicamente quindi settembre è il mese della crisi nel senso etimologico della parola, ovvero discernimento, distinzione. Come si separano le spighe buone da quelle marce, si separano gli eroi dai traditori. E nella sintesi che incarnò Augusto di amore e guerra, come nella sintesi che incarnarono gli eroi in camicia nera, vi è la possibilità di selezionare i frutti migliori del campo per amore e di distruggere, riducendo a concime, ciò che è distruttivo e deleterio. E proprio in virtù della necessità della guerra e del discernimento, settembre rappresenta anche il mese della protezione, in quanto a proteggere sono coloro i quali possiedono la spada, cosa ulteriormente confermata dalla stessa liturgia cattolica che a settembre celebra i tre Arcangeli.
Simbologia numerica
Il 23 è l’unione del due e del tre. Il due che rappresenta la guerra, la divisione, l’obbligo di scontrarsi, il tre che rappresenta la sintesi, il superamento verticale dell’orizzontalità degli opposti, il superamento eroico della materialità, che i grandi uomini sono chiamati ad incarnare. Sotto Augusto la religione romana ritrova l’ordine perduto. Egli inaugura la PAX Romana da Princeps e da Pontifex Maximus. Sotto Augusto la guerra viene santificata ed elevata a protezione dell’Impero e sotto la sua autorità tornano a splendere e a rifiorire i campi e l’agricoltura italica. Sotto di lui i veterani di guerra sono ricompensati con la terra, la prosperità, la pace e il ripopolamento delle culle dei loro sacrifici, della loro sofferenza e della loro fedeltà. Proprio in tal senso il D*ce orientò la propria azione. Egli, dopo il terrore e la sovversione del biennio rosso, restituì alla guerra e all’esercizio della forza la dignità italica, ricompensando dei loro sacrifici i veterani della grande guerra e trasportando le energie vitali della maschia gioventù romana verso l’espansione imperiale nel Mediterraneo. Fu un imperativo categorico edificare le terre d’Africa col proprio ingegno e la propria opera, dando civiltà e gerarchia agli stranieri e assicurando gioia, vitalità e benessere al popolo italiano. La sua opera lungimirante ridiede dignità al lavoro agricolo tramite le bonifiche integrali. Egli si curò dei buoni contadini, donado loro in proprietà le terre strappate ai latifondisti e indicando una nuova meta per ottenere la giustizia sociale. E, grazie alla sua premura, l’Italia tornò a crescere demograficamente, per infinita grazia e gioia di un proletariato che aveva conosciuto davvero l’elevazione e aveva saputo abbandonare il veleno marxista. E quel 23 settembre, nonostante si fosse consapevoli della sconfitta in campo militare, i principi costruiti nei vent’anni precedenti si andavano strutturando nella loro fase naturale ed espansiva, quella europea, perché del Divo Augusto fosse pienamente realizzata la Pax universale. E con quella gloriosa pagina i cui principi sono riassunti nel Manifesto di Verona, la tripartizione, il corporativismo, l’organicità e l’equa disuguaglianza vennero a dimostrare la loro natura europea, in quanto Roma non poteva che essere il mito di impero su tutta l’Europa, come dimostra l’appellativo “romano”, che ogni Imperatore, anche non italiano, ha voluto assumere nel corso della storia, e in virtù del fatto che Roma è la somma delle migliori attitudini della stirpe aria indoeuropea, fonte di vita di tutte le civiltà europee esistite nel tempo e nello Spazio. Guerra per le sorti d’Europa, cittadinanza, repubblica, lavoro agricolo e artigianale. Quanto di più bello l’Europa avesse mai conosciuto trovò una sintesi completa in Augusto e nella RSI
La guerra contro il nemico
Come Romolo dovette uccidere Remo, Augusto costringere Marco Antonio al suicidio, gli eroi della RSI dovettero combattere il mostro della partigianeria. L’analogia tragica è lampante: il demone della guerra tra consanguinei, della guerra civile, è presente in tutto il mito e in tutta la storia d’italia. E noi, che abbiamo della vita una visione totale e completa, al punto da definirla Weltanschauung, ne comprendiamo il senso. L’archetipo della guerra civile è ciò che permette a noi tutti di ricordarci quanto anche nelle migliori semenze vi sia la spinta centrifuga, che conduce una stirpe verso il basso, verso la degenerazione. Sarebbe fin troppo semplice l’esistenza, se la guerra fosse sempre contro il barbaro, contro lo straniero e contro colui che è palesemente nemico e ostile. Ma noi europei sappiamo che tutte le forze esistono proprio per la perenne tensione di cui sono portatrici e che, come la Pace e i momenti piacevoli possono raggiungere il loro picco, non da meno sono le pulsioni tragiche. E tra tutte le analogie fin qui evidenziate tra la figura di Augusto e quella degli eroi f**cisti, ne spicca un’altra che è contestualmente una differenza. Tra le numerose vittorie riportate dal Divo, c’è una disfatta non indifferente, quella di Teutoburgo, allorquando la gloria di Roma fu seriamente minacciata dalle tribù germaniche, che saranno poi molti secoli dopo la causa definitiva del crollo dell’impero romano d’Occidente. Evidentemente non per caso, quelli che dai romani allora erano considerati i più acerrimi nemici, nella fase della RSI invece rappresentarono gli alleati e difensori dell’Europa e della romanità.
La competizione per l’egemonia
Evidentemente ogni analogia che si rispetti non può prescindere dalla contemplazione di ogni singolo aspetto. Quando l’Europa si trovava nella sua fase di massimo apogeo, le stirpi europee erano da un punto di vista razionale inconsapevoli del comune seme che le aveva originate, ma, i motivi per cui si combattevano erano in realtà diretti dalla forza spirituale che le conduceva a realizzare compiutamente ciò da cui avevano tratto origine. Esse contendevano non tanto per annullarsi, ma perché ciascuna voleva essere la spinta propulsiva ed egemone di tutta l’Europa. La disfatta di Teutoburgo non fu alla fine che il preambolo di quello che sarebbe stato il tramonto di Roma, ma dal momento che questo non fu la fine dell’Europa e del mito della romanità, ma la sua rinascita che diede sviluppo al Medioevo, la disfatta di Teutoburgo rappresenta simbolicamente il fatto che nella storia ogni contraddizione, ogni momento vissuto come tragico, perché effettivamente tragico, non è mai destinato ad esaurirsi in se stesso, bensì ad essere un superamento di un limite e una fonte di conoscenza preziosa per l’uomo. E il paralleismo tra l’epoca augustea e quella repubblicana così si concretizza. Chi all’epoca era un nemico, allora era alleato, e proprio quando Roma trionfava, i germani erano percepiti come nemici, mentre, quando l’Europa stava crollando, tutti gli europei veri erano uniti sotto la stessa bandiera. Diceva Eschilo che la sofferenza è la condizione necessaria per la conoscenza. Ebbene i giovani di Berlino, di Roma, di Parigi, di Budapest, non avrebbero mai compreso la comune origine e il comune destino dell’Europa, se non attraverso il combattere insieme contro chi negava tutti i principi per cui ciascuna nazione europea era esistita nel corso dei millenni.
L’epoca degli eroi
Come prima abbiamo detto, non si può conoscere qualcosa se non in virtù del suo opposto. Non si poteva conoscere in quel momento la fierezza e la bellezza dell’essere europei, se non nella dimensione dei sacrifici che si era disposti a compiere. L’età dell’oro è tale perché ad essa seguirà sempre un’età del ferro che come ottima funzione ha, proprio come il mese di settembre, eliminare ogni sovrastruttura, ogni peso, ogni elemento disgregativo per tornare all’essenziale. Negli ultimi anni dell’Europa, iniziati con il 23 settembre ’43, si tornava all’idea centrale da cui tutto era scaturito, ovvero la regalità aria che aveva forgiato i popoli europei. E la gioia che provarono gli eroi dell’epoca non fu meno intensa del dolore e della tragedia che si consumarono davanti ai loro occhi. E proprio in virtù di quella gioia solare d’essere europei loro furono disposti ai più grandi sacrifici. E siccome abbiamo fin qui dimostrato che ogni ciclo è destinato a ripetersi e che non esiste una fine definitiva, noi con orgoglio possiamo dire che, per quanto la fase della RSI abbia avuto una conclusione certamente meno lieta di quella augustea, rappresenta in ogni caso la base e il punto di partenza per quello che sarà il Domani e il futuro risorgere dell’Europa.
L’eterno ritorno
L’eroismo di quei camerati è la chiave per insorgere contro il fatalismo. Augusto conobbe una disfatta, ma il suo impero non cessò, tuttavia, quel che lui creò incominciò a decadere fin da dopo la sua morte e, pur dopo molti secoli, giunse ad una fine. Ma quella fine non simboleggiò comunque la nascita del Medioevo? Ebbene la più grande analogia che questi due fulgidi esempi ci forniscono è la completezza di quello che mancava a ciascuno preso isolatamente nella sua fase. Noi dobbiamo esser certi della conoscenza che il futuro sarà sempre in opposto al passato e contestualmente un riproporsi dell’eterno. La gloria di Augusto permise la Pax Romana. La riscoperta dell’Europa a Salò e la sua sconfitta saranno in futuro il motore della ritrovata Pace romana che si infonderà negli europei, dopo un lungo travaglio di sofferenza, alla luce di nuove scoperte e consapevolezze. Oggi celebriamo quindi Roma, Berlino, Parigi. Oggi celebriamo l’Europa e la regalità aria. Celebriamo le incarnazioni di questo eterno spirito, ben edotti che il Domani appartiene a noi e che dal Kali Yuga ne usciremo con un vigore totalmente nuovo e meraviglioso.
Ferdinando Viola