Home » Il Cremlino e l’antifascismo: il dossier che accusa Italia, Germania e Giappone di “falsificare la Storia”

Il Cremlino e l’antifascismo: il dossier che accusa Italia, Germania e Giappone di “falsificare la Storia”

by Sergio Filacchioni
0 commento
Italia Germania Giappone

Roma, 2 ott – Oggi il Ministero degli Esteri russo ha pubblicato un rapporto di oltre cento pagine che punta il dito contro Italia, Germania e Giappone. Il titolo, chilometrico, dice già tutto: “Sulle azioni e inazioni delle autorità di Italia, Germania e Giappone, a seguito delle quali la Storia viene distrutta e falsificata e il fascismo e i suoi complici vengono giustificati”. È solo l’ultimo capitolo della battaglia di Mosca sulla memoria della Seconda guerra mondiale: un campo che il Cremlino, checché se ne dica, considera parte integrante della guerra in corso contro l’Occidente europeo.

Un dossier contro Italia, Germania e Giappone

Nell’introduzione, il documento spiega che, a ottant’anni dalla “Grande Vittoria”, l’Europa non avrebbe imparato la lezione del 1945. Le élite di Berlino, Roma e Tokyo – sostiene – starebbero ripulendo il proprio passato criminale, ridimensionando il ruolo sovietico nella liberazione del continente e perfino sostenendo “regimi neonazisti” in Ucraina e negli Stati baltici. Il cuore dell’accusa è semplice: i tre ex membri dell’Asse avrebbero abbandonato l’antifascismo per tornare, in forme nuove, al revanscismo di allora. Per dare sostanza alla tesi, il rapporto pesca a piene mani nella cronaca italiana curata da Repubblica e Fanpage: richiama l’articolo XII della Costituzione, la legge Scelba, la legge Mancino e il mai approvato “disegno di legge Fiano” per accusare l’Italia di applicare con discontinuità le proprie norme; cita la toponomastica che ancora onora Italo Balbo o Giorgio Almirante, la Villa Mussolini di Riccione, i cortei di Predappio e i raduni del 7 gennaio a Roma con saluti romani, collegandoli alla sentenza della Cassazione che limita la punibilità del gesto; menziona le parole di Ignazio La Russa sul 25 aprile e la sua collezione di cimeli del Ventennio, l’assenza – a suo dire – di una condanna netta di Giorgia Meloni, perfino la frase sul “diritto degli ucraini di onorare Bandera” raccolta in una telefonata-burla; punta il dito contro la mostra “Arte e Fascismo” al MART di Rovereto, il caso Scurati escluso dalla Rai il 25 aprile e la presentazione di un libro sul sommergibilista fascista Salvatore Todaro. L’elenco prosegue con i gruppi della destra radicale fino agli episodi di vandalismi contro monumenti antifascisti e alla presunta “tolleranza” verso l’Azov, citando la mostra fotografica Eyes of Mariupol a Milano e l’invito al Senato dell’ex paramedica ucraina Yuliya Paievska. Un mosaico eterogeneo che, messo insieme, dovrebbe dimostrare la deriva revanscista italiana. Per la Germania invece piovono le accuse di “frammentare” la memoria riducendo il ricordo della guerra al solo Olocausto; in Giappone, a Mosca non sta bene la retorica sulle Curili e l’“ingiusta” entrata in guerra dell’URSS nel 1945. Tutto viene cucito in un’unica trama: l’Occidente tradirebbe i valori nati dal processo di Norimberga e cancellerebbe il debito morale verso l’Armata Rossa.

L’antifascismo non è più solo un capitolo di storia

Il dossier ha un fulcro politico: il voto all’Assemblea generale dell’ONU. Dal 2022, nota il MID, Italia, Germania e Giappone hanno votato contro la risoluzione annuale “sulla lotta alla glorificazione del nazismo”. Per Mosca è la prova regina della colpa: per la prima volta nella storia – sottolinea – gli ex alleati di Hitler si schierano contro un testo che condanna il nazismo. Non interessa che quei voti contrari siano stati motivati, a Bruxelles e a Roma, dal rifiuto di un testo percepito come strumentale contro l’Ucraina: nel racconto del Cremlino quel voto basta a marchiare i tre Paesi come conniventi con il neonazismo. È questo il meccanismo che fa del rapporto un’arma di guerra culturale molto più subdola di quanto qualcuno si affretterà a sostenere. L’antifascismo, per Mosca, non è più solo un capitolo di storia ma diventa un criterio per distinguere amici e nemici nel presente. Chi si oppone alla Russia – che sia Kyiv, Berlino, Tokyo o Roma – viene iscritto in un’unica genealogia “fascista”. Ogni frizione sulle cerimonie del 9 maggio, ogni mostra d’arte sul Ventennio, ogni episodio di cronaca diventa un indizio della stessa tendenza: la “falsificazione della Storia”.

Nel mirino c’è una cultura nazionale

Soprattutto, il documento non è un esercizio accademico: è un atto politico. Dentro si trovano link a voci di Wikipedia russa, a pezzi di stampa di regime, a cronache di costume: una miscellanea assemblata per sostenere un teorema precostituito. Non è tanto la precisione dei fatti a contare, quanto la forza dell’accusa. Serve al Cremlino per rinsaldare il fronte interno, per delegittimare i governi europei e per alimentare l’idea che la guerra in Ucraina sia la continuazione della “denazificazione” iniziata nel 1945. Per l’Italia il dossier è un avvertimento: nel mirino non ci sono solo le scelte diplomatiche ma il modo in cui il Paese celebra la Liberazione, gestisce i monumenti, racconta la sua storia. Insomma, quella “cultura nazionale” che volenti o nolenti è arrivata fino a noi con le sue contraddizioni, e che in Italia è ancora oggetto di scontro e continua riattualizzazione. Ma attenzione. Chi a Mosca parla di “revanscismo italiano” non guarda solo a Casa Pound o alle componenti più radicali dello scenario politico: punta al governo, alle istituzioni, ad una cultura pubblica che avrebbe conservato “troppo” del discorso fascista e nazionalista. È un messaggio rivolto all’esterno ma utile, a uso interno, per spiegare al cittadino russo perché l’Occidente che oggi arma Kyiv sarebbe in fondo lo stesso nemico di ieri.

Il monopolio della memoria a senso unico

Chi dice che l’antifascismo russo sia “soltanto un’arma” (come se questo ne minimizzasse l’intento) ha ragione, ma il rapporto mostra bene com’è fatta quest’arma. Non colpisce con la storia in quanto tale: la piega a una narrazione che divide il mondo in eredi dei liberatori ed eredi dei carnefici. Il paradosso è che, nel denunciare la “falsificazione occidentale”, il Cremlino finisce per falsificare a sua volta: seleziona i frammenti utili, ignora il resto e usa il complesso di colpa dell’Europa – instillato da Yalta in poi – contro di lei. Per chi in Italia si occupa di cultura storica e di politica estera, il rapporto merita di essere letto per capire non cosa l’Occidente ha fatto o non ha fatto, ma come Mosca ha deciso di raccontarlo. È questo racconto, più che la realtà, che orienta la diplomazia russa e le sue campagne mediatiche, culturali e propagandistiche in tutto il mondo. Con il vessillo dell’antifascismo, il Cremlino scende in campo sul monopolio della memoria a senso unico.

Sergio Filacchioni

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati