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Europa “irrilevante”? La verità dietro la retorica di Netanyahu

by Sergio Filacchioni
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Europa irrilevante Netanyahu

Roma, 6 ott – «L’Europa non conta più»: con queste parole, in una lunga intervista a Euronews, Benjamin Netanyahu ha liquidato in blocco l’Unione Europea e il Vecchio Continente, accusandoli di aver perso ogni peso politico e morale in Medio Oriente. Secondo il premier israeliano, l’Europa “premia Hamas” con il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di quindici Stati membri e, schiacciata dalle “pressioni di una minoranza islamista radicale”, avrebbe ceduto il campo agli Stati Uniti, gli unici – a suo dire – in grado di proporre un piano di pace “realistico”.

L’Europa è irrilevante, ma detto da voi…

La dichiarazione è un attacco frontale che fotografa bene la percezione che Israele vuole accreditare di un continente debole e diviso. Ma il punto non è Netanyahu. Il punto è che questa narrazione – “l’Europa è irrilevante” – è già da anni un vero e proprio leitmotiv della propaganda atlantista, ma anche filo-russa e filo-israeliana, ripreso con entusiasmo da una certa galassia sovranista che di europa non vuole sentir parlare. Sui social, nei talk show e nei circuiti dell’informazione anglosassone è in atto da tempo una campagna mirata: dipingere l’Europa come un “vecchio museo senza forza militare né volontà politica”, un’entità condannata all’irrilevanza strategica. L’obiettivo è evidente: spezzare ogni tentativo di costruire un’autentica sovranità europea e lasciare a Washington – e oggi a Tel Aviv – il monopolio delle decisioni nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Il paradosso è che a fare da megafono a questa operazione sono proprio quei “sovranisti da tastiera” che si illudono di difendere la nazione contro Bruxelles: non capiscono che indebolire il concetto di Europa significa condannare ogni Stato europeo all’irrilevanza. Divisi, restiamo semplici province di un impero a stelle e strisce. Uniti, potremmo invece avere peso reale nei dossier mediterranei e medio-orientali. E “Bibi” lo sa: la sua forza retorica sta tutta nella distanza fra il potenziale europeo e la sua incapacità di tradurlo in potere geopolitico per paura di rompere con Washington o di esporsi alle accuse di antisemitismo.

L’Europa conta così poco che è il cruccio di tutti

Del resto a smentire la favola dell’inazione europea sul Medio Oriente ci sono numeri eloquenti: lo scorso 25 settembre la Commissione UE ha annunciato un piano da 14,4 miliardi di euro per la ricostruzione e gli aiuti civili a Gaza e alla Cisgiordania. Un pacchetto che fa dell’Unione il principale donatore per la popolazione palestinese, più di molti Paesi arabi. Se l’Europa contasse davvero così poco, Netanyahu non sprecherebbe fiato a criticarla? La verità è che ne teme l’influenza economica e diplomatica. L’UE resta infatti il primo partner commerciale di Israele, controlla fondi e standard doganali che incidono sulla sua economia high-tech e agricola e, con il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di quindici Paesi membri, ha già inflitto un colpo politico simbolico non indifferente al governo di Tel Aviv. Gli attacchi di Netanyahu appaiono quindi come una strategia preventiva: delegittimare Bruxelles per tagliarla fuori dai negoziati futuri e spingere le capitali più filo-USA a frenare ogni iniziativa comune, ridicolizzare l’Europa per impedirle di scoprire quanto potere ha effettivamente su Israele.

Rifiutare la retorica di Netanyahu

Il premier israeliano si presenta come “difensore dell’Occidente” e come vittima di un’Europa “moralista” che non capirebbe il pericolo islamista e che non ha fatto i conti con il suo passato. Ma la sua polemica serve soprattutto a coprire l’enorme responsabilità politica e morale di Israele nel massacro di Gaza, una campagna militare che diversi osservatori internazionali hanno giustamente definito genocidaria. Che Netanyahu rimproveri l’Europa per non stare abbastanza al fianco di Tel Aviv è quasi grottesco: se c’è una colpa europea, è semmai l’inerzia con cui si è tollerata la devastazione di Gaza in nome della “lotta al terrorismo”. Ma l’Europa non è irrilevante per destino naturale, ma perché ha rinunciato alla propria autonomia strategica, preferendo subappaltare la difesa a Washington e la linea mediorientale a Israele. Accettare la retorica di Netanyahu – da qualsiasi angolatura la si prenda – significa interiorizzare la propria subalternità. Se il Vecchio Continente vuole contare, deve smettere di farsi intimidire dalle accuse di antisemitismo ogni volta che critica Tel Aviv, deve dotarsi di una forza militare europea e di una diplomazia comune coerente con i propri interessi, non con quelli di Washington o di Gerusalemme.

L’irrilevanza non è un fenomeno naturale

Per troppo tempo un certo patriottismo sterile ha lavorato come cavallo di Troia dell’irrilevanza, trasformando l’euroscetticismo in una resa geopolitica su tutti i fronti. Oggi serve il contrario: recuperare la coscienza di essere parte di una civiltà comune, con un destino strategico che non può dipendere dagli umori della Casa Bianca o dalle emergenze dettate da Tel Aviv. Gli sfoghi di Netanyahu contro l’Europa – come quelli di Trump o Putin – devono essere un pungolo per le nostri classi dirigenti ogni volta che pensano che allinearsi al leader di turno e rinunciare a parlare con una voce propria sia una buona idea. L’UE dispone di mercato, fondi, regole e diplomazia. Ma è la mancanza di volontà politica a renderla vulnerabile alle accuse altrui e al ricatto morale di chi brandisce la Shoah come alibi permanente. Inutile dire che ogni volta che Netanyahu dice “l’Europa non conta”, tradisce il fatto che Israele teme un’Europa che inizi a contare davvero. Ma più che inveire, deve sperare che rimanga sempre così.

Sergio Filacchioni

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