Roma, 13 nov – Per anni abbiamo visto scrittori, registi, fumettisti e musicisti costretti a dissociarsi, chiedere scusa, riscrivere intere opere perché non perfettamente allineate all’ideologia dominante. E per anni, dall’altra parte, gli esponenti dell’antifascismo pop, del progressismo prêt-à-porter e della sinistra culturale hanno esercitato la parte dei giudici: stabilivano cosa fosse accettabile, chi potesse lavorare, chi dovesse sparire. Poi, un giorno, è arrivato Zerocalcare. Ed è cambiato tutto.
Zerocalcare stavolta diventa il “paria”
Al Lucca Comics di quest’anno, una scena qualunque: Zerocalcare che incontra Hideo Kojima. Non proprio un autore qualsiasi: forse il game designer più celebre del pianeta, ex vicepresidente di Konami, autore che ha sempre mantenuto un’immagine di indipendenza quasi aristocratica. Kojima, da anni, è bersaglio delle mode moraliste dell’Occidente: sessismo, rappresentazioni femminili troppo sensuali, protagonisti troppo bianchi – l’intero prontuario delle accuse woke. E da anni risponde sempre allo stesso modo: un sorriso, un inchino, e un elegante “me ne frego” alla giapponese. Poi arriva Zerocalcare, l’intoccabile della sinistra italiana. L’icona della “militanza tenera”, dell’antagonismo Netflix, del vittimismo con accento da Roma Nord camuffato da borgata per ragioni di marketing. Il fumettista porge a Kojima la versione nipponica di Kobane Calling, la sua graphic novel sulla resistenza curda. Kojima posa con il libro in mano. La foto finisce sui social. E improvvisamente scoppia il pandemonio. Non in Italia, non nei paesi dove l’identità woke ha colonizzato ogni redazione e ogni festival. No: in Turchia. Un paese che considera le milizie curde alla stregua di un’organizzazione terroristica e che non ha alcuna intenzione di farsi dettare l’agenda culturale da un fumettista romano. Risultato: la foto sparisce dagli account di Kojima dopo poche ore. Si è “autocensurato”, vero. Ma è qui che avviene il miracolo sociologico: per la prima volta, gli antifascisti si ritrovano dall’altra parte della barricata. Sono loro l’elemento scomodo, l’amico di cui vergognarsi, il volto da non mostrare per non avere guai. Sono loro la “compagnia indesiderata”.
Il comunicato di Kojima Productions
Ed è qui che arriva il colpo di grazia: il comunicato ufficiale di Kojima Productions. Parole calibrate, glaciale distanza, un’eleganza che è una stilettata. “Vogliamo chiarire i fatti riguardanti la foto che ritrae Hideo Kojima e il fumettista italiano Zerocalcare”, esordisce la nota. Subito dopo, la frase che nessuno nel campo progressista avrebbe mai voluto leggere: “Non esiste alcuna relazione personale o professionale tra i due”. Lo studio sottolinea che l’immagine è stata scattata “brevemente” dopo una presentazione casuale e che né Kojima né il suo team “avevano conoscenza o intenzione di esprimere accordo con le opere o le posizioni politiche di Zerocalcare”. La chiusa è una cortesia tagliente: precisare tutto “per evitare ulteriori fraintendimenti”. Tradotto: non vogliamo essere associati a quell’ambiente, a quei messaggi, a quel simbolismo. Zerocalcare, dal canto suo, tenta di metterci una pezza. Pubblica un video pieno della solita autoironia un po’ passiva. Sostiene che è stato un incontro fortuito, che non era nulla di politico, che “manco voleva che si vedesse il libro”, che il gesto di porgerlo sarebbe stato solo “una cortesia”. Un tentativo disperato di raffreddare gli entusiasmi della sua stessa cerchia, ma soprattutto di non risultare un peso per chi, evidentemente, non aveva alcuna voglia di portarselo addosso.
Kojima e la lezione della Sweeney
Se c’è un lascito interessante nel caso Kojima–Zerocalcare, come quello che abbiamo sottolineato riguardo lo scambio tra Sydney Sweeney e la giornalista Katherine Stoeffel, è proprio questo: per decenni, sinistra culturale, mondo woke e comunità antifascista sono stati convinti di essere i custodi del “bene”, gli unici legittimati a dire agli altri cosa fosse giusto o sbagliato. Hanno costruito una rete di pressioni mediatiche e sociali tale da poter rovinare carriere con un tweet. Hanno normalizzato la pratica del “chiedi scusa o sparisci”. Ma quel potere non è eterno. Non appena si mette il naso fuori dal perimetro delle università occidentali e dei giornali progressisti, la musica cambia. Quindi no, non è una baruffa tra nerd. È il principio di una verità più grande: il mondo non gira intorno loro. E quando un autore di fama globale come Kojima deve scegliere tra turbare un mercato da 80 milioni di consumatori o compiacere un fumettista italiano trasformato in mascotte della sinistra, la scelta è ovvia. E non è una scelta “di destra”, come qualcuno sta già sbraitando. È una scelta di realtà.
Sergio Filacchioni