Roma, 25 nov – Nel fine settimana, X si è messa a nudo. La piattaforma di Elon Musk ha rilasciato – e poi in parte ritirato – la nuova sezione “About This Account”, uno strumento pensato per aumentare la trasparenza mostrando l’area geografica da cui un profilo è gestito. È bastato qualche giorno perché la funzione si trasformasse in un boomerang politico-mediatico. E non per un bug tecnico, ma per ciò che ha rivelato: molti dei profili più rumorosi del mondo MAGA non stanno negli Stati Uniti.
Identità digitali messe a nudo
Secondo le verifiche di Business Insider, account con centinaia di migliaia di follower e una retorica “America First” sono risultati basati in Europa orientale, Bangladesh, Nigeria, Sud Asia. Il Guardian conferma lo stesso schema: “Patriot Voice”, “IvankaNews”, “Dark Maga”, “MAGA Scope”, “MAGA Beacon” – nomi che evocano identità iperamericane – sono in realtà gestiti da dispositivi che si trovano dall’altra parte del mondo. Non è un caso isolato, e non è nemmeno un mistero. La politica digitale ha smesso da tempo di essere il luogo dell’autenticità. Ma tranquilli, il crollo della credibilità non riguarda solo la destra americana. La funzione è stata rapidamente utilizzata dagli utenti per controllare anche profili filo-palestinesi e filo-israeliani, scoprendo che buona parte di quelli che si presentano come “giornalisti sul campo” operano invece da tutt’altro continente. Un dato che conferma ciò che chiunque analizzi la comunicazione online dovrebbe sapere da anni: la geopolitica della Rete non coincide con quella del pianeta.
L’ombra di Mosca è sempre ingombrante
Davanti a questo scenario, è naturale che molti abbiano tirato fuori un vecchio riflesso: “allora è tutta opera della Russia!”. La tesi è comoda, rassicurante, e politicamente utile a più di uno schieramento. Ma la realtà è più complessa. L’operazione su X non ha rivelato una regia unica. Ha mostrato, piuttosto, un ecosistema di attori che cercano di occupare spazi comunicativi lasciati vuoti, sfruttando il collasso delle piattaforme tradizionali. E qui, volenti o nolenti, bisogna essere onesti: non è affatto improbabile che anche la Russia giochi una parte in questo teatro. Non per qualche fantasia complottista, ma perché esistono precedenti concreti, verificati e documentati. La Russia è stata tra le prime potenze a investire in operazioni di influenza digitale: dall’Internet Research Agency al ruolo nelle elezioni statunitensi, dalle campagne di saturazione narrativa in Crimea alle operazioni di destabilizzazione del 2022. Pensare che “solo Mosca” usi questi metodi sarebbe puerile; pensare che “mai Mosca” li usi sarebbe troppo ingenuo.
La percezione pubblica è una risorsa
Il fatto che l’update di X abbia esposto una serie di account “americani” basati in Russia non è quindi un colpo di scena: è una conferma. Ma non autorizza alcuna scorciatoia ideologica. Non significa che esista una regia organica, né che la Russia controlli interamente il dibattito occidentale. Sappiamo però che la percezione pubblica è diventata una risorsa strategica tanto quanto un oleodotto o una base militare. Perchè l’aspetto più rivelatore dell’incidente non è la presenza di attori stranieri ma la vulnerabilità dell’opinione pubblica. È la facilità con cui identità fasulle riescono a farsi largo nel dibattito e accreditarsi come fonti primarie. È la rapidità con cui uno screenshot manipolato può diffondersi più velocemente di una smentita. È il fatto che intere comunità politiche misurano il proprio peso attraverso numeri che non riflettono nulla della realtà.
La sovranità digitale è essenziale
Il vero problema, quindi, non è che esistano account che imitano americani da Lagos, Bangalore o Kaliningrad. Il problema è che nessuna democrazia occidentale sembra aver sviluppato gli anticorpi culturali per distinguere il rumore dalla verità. E che intere correnti politiche – a destra come a sinistra – continuiamo a scambiare per “base militante” ciò che è solo eco artificiale. L'”incidente” di X ci da un promemoria brutale: la politica online è un territorio occupato da potenze esterne, da operatori professionali e da attori opachi che agiscono al di fuori di qualsiasi confine nazionale. Se oggi attori esterni possono infiltrarsi nelle narrazioni americane – o europee – è perché ancora facciamo fatica a considerare la sovranità digitale come un bene strategico. In un mondo in cui tutti influenzano tutti, l’unica posizione perdente è quella di chi non influenza più niente, nemmeno sé stesso.
Sergio Filacchioni