
Non bastasse la già esistente giungla di tasse, tassine, imposte, impostine, accise e accisine, il governo ha in mente di aumentare ancora una volta il prezzo delle sigarette: un centesimo a “bionda”, venti centesimi tondi a pacchetto. Il motivo? Sul mercato stanno arrivando nuovi farmaci oncologici, i quali promettono una rivoluzione nella cura del cancro ma allo stesso tempo rischiano di mandare gambe all’aria le finanze del servizio sanitario nazionale. Perché costano, costano eccome: si parla, secondo le prime stime, di 700 milioni di euro in più l’anno, che vanno a sommarsi ai 4,2 miliardi spesi attualmente dai reparti specializzati nella cura dei tumori. Il calcolo è presto fatto: su 10 milioni di fumatori che acquistano in media un pacchetto al giorno, l’incasso aggiuntivo si aggirerebbe proprio attorno ai 700 milioni necessari.
La decisione del governo rischia, però, di rivelarsi un boomerang. Ad oggi, infatti, la cifra che ogni anno lo Stato prende da Iva e accise sul tabacco (e al 98% sono le sigarette a contribuire) assomma a circa 14 miliardi di euro, il 10% dell’intera spesa sanitaria italiana. Con risultati da cleptomania, quasi peggio dei carburanti: ad oggi, su un pacchetto da 5 euro se ne versano 3,80 allo Stato, che diventeranno 4 se il prezzo aumentasse a 5,20. Il 75% del totale. Gli effetti, a questo punto, possono diventare paradossali: complice anche la campagna di demonizzazione del fumo, l’incasso totale rischia perfino di calare, perché gli acquirenti di sigarette – contrariamente alle aspettative – reagiscono agli aumenti di prezzo riducendo la domanda. Costringendo così l’esecutivo a dover rivolgere altrove le mire dell’avvoltoio fiscale.
Nicola Mattei