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Strage di Bologna: il rito antifascista che continua a legittimare il sistema

by Sergio Filacchioni
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Bologna

Roma, 5 ago – A pochi giorni dal quarantacinquesimo anniversario della strage di Bologna, non si spengono i riflettori e le polemiche legate alle dichiarazioni di esponenti della sinistra, che hanno utilizzato un momento istituzionale per dare sfogo al proprio odio antifascista: dal sindaco Lepore al presidente dell’Anpi Pagliarulo, tutti hanno cercato di utilizzare la strage come pretesto per attaccare la Meloni e un’intera area politica. E se stavolta l’avessero fatta troppo grossa?

A Bologna il comizio “show” dell’antifascismo

Andiamo con ordine. A inaugurare un copione tragicomico è stato (ovviamente) il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, che ha sostenuto come nella strage siano stati coinvolti non solo personaggi del Movimento Sociale Italiano, ma anche i servizi segreti, che oggi – secondo lui – sarebbero protetti dalla recente legge-sicurezza e quindi godendo di una “sconcertante impunità”. Un’accusa infantile (quale Stato non protegge la sua intelligence?) ma comunque pesante, subito raccolta e amplificata dal presidente uscente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, già deputato del Partito Democratico, che davanti ai microfoni della Stampa ha parlato di una “sfilza di terroristi provenienti tutti dall’MSI”, accusando i senatori di quel partito di aver protetto Paolo Bellini e ricordando come Giorgia Meloni rivendichi la sua formazione politica in quella stessa sigla. Insomma, a Bologna c’era anche Meloni: pidduista e stragista a due anni di vita.

Il teorema delle coperture

Ma sia Bolognesi che Pagliarulo non si sono fermati qui. Hanno allargato il tiro alla riforma della separazione delle carriere, definendola parte integrante del “piano di rinascita” della loggia P2 e quindi legata ai mandanti della strage. Un salto logico e storico che trasforma la riforma della giustizia in un atto eversivo, ignorando il fatto che persino Giovanni Falcone ne fosse convinto sostenitore. Sul palco ufficiale, anche il sindaco Matteo Lepore ha scelto il registro delle accuse ridicole, parlando di un “tentativo eversivo che ancora oggi ha tracce nelle nostre istituzioni” e avvertendo il governo di “non osare insabbiare questa verità”. Dal Partito Democratico, Elly Schlein ha invitato “anche chi governa” a leggere le sentenze, mentre Nicola Fratoianni della Sinistra Italiana ha parlato apertamente di “strage fascista voluta e coperta dai Servizi deviati dello Stato”, accusando la destra di non voler riconoscere le proprie responsabilità. Nessuno però chiede a Fratoianni quale copertura effettiva abbiano ricevuto i fascisti dai “servizi”, dal momento che tutti i depistaggi sono stati dirottati su in impianto accusatorio che ha messo tutti i camerati dell’epoca (sia NAR che non) nel mirino giudiziario. E tutt’oggi, la verità incontrovertibile che loro stessi difendono è proprio la versione di Stato, la stessa che anche Mattarella ripete a menadito. Strana copertura…

Bologna strage fascista: il dogma

Ma il dogma, evidentemente, è saldo: Bologna è stata una strage fascista-pidduista. Wikipedia lo dice. L’Espresso pure. Chi dovrebbe preoccuparsi della solidità di ciò che afferma? Come per esempio che nessuno dei condannati per la strage di Bologna era iscritto al MSI. E che Almirante d’altronde fu uno degli avversari più determinati dello spontaneismo armato e del terrorismo nero: fatti che spariscono dietro la cortina di accuse ripetute anno dopo anno, che oggi arrivano a collegare la Meloni e il governo attuale a un attentato avvenuto 45 anni fa. Oppure che le condanne si basano su un impianto accusatorio costruito in piena emergenza terrorismo, con prove indirette, testimonianze contraddittorie e depistaggi accertati nelle stesse sentenze. Mentre chiunque tenti di aprire piste alternative viene marchiato come revisionista. Eppure, restano interrogativi pesanti: il caso di Maria Fresu, vittima i cui resti nella tomba non corrispondono al suo DNA, accertato nel 2019 e mai seguito da alcuna indagine; la presenza alla stazione di elementi dell’estrema sinistra, agenti di servizi e trafficanti d’armi; la possibilità che l’ordigno fosse destinato ad altro obiettivo e che un corpo sia stato rimosso per nascondere una verità scomoda. A ciò si aggiunge che Paolo Bellini, l’unico nuovo condannato nelle ultime sentenze, non era militante del MSI né di Avanguardia Nazionale, ma un ex criminale comune con un passato nell’estrema destra reggiana, mai legato organicamente a quelle formazioni politiche. Tutti elementi rimasti ai margini, o peggio ignorati. Ma chi ha davvero paura che si smonti il “sistema Bologna”? Perchè la sinistra assetata di “vera verità” in tanti anni di governo non ha mai reso all’opinione pubblica carte, sentenze, testimonianze?

Qualcuno non vuole ragionare

Dal palco della commemorazione, la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha risposto con fermezza, ribadendo il rispetto per i familiari delle vittime ma respingendo “senza se e senza ma” qualunque collegamento tra l’attentato e l’attuale governo. Più diretto il senatore bolognese di Fratelli d’Italia, Marco Lisei, che ha definito Bolognesi “un professionista dell’insulto” e accusato la sinistra di usare il 2 agosto come strumento di propaganda, trasformando una tragedia nazionale in un palcoscenico elettorale. Ma come ha osservato Paolo Mieli in un recente intervento, se si adottasse la stessa logica utilizzata da chi oggi lega la strage di Bologna all’MSI e, per riflesso, alla Meloni, allora bisognerebbe affermare che Aldo Moro fu ucciso dai comunisti, visto che i suoi assassini, le Brigate Rosse, provenivano da quell’area. Un’assurdità che dimostra quanto sia distorsivo e strumentale il gioco delle responsabilità “per appartenenza politica” a distanza di decenni. Ma certo una cosa è chiara, almeno a noi: qualcuno ha smesso da molto tempo di voler ragionare.

Su Bologna è tempo di verità: ora o mai più

A quarantacinque anni di distanza, la verità su Bologna resta imprigionata in un racconto ufficiale che somiglia più a un totem ideologico che a una ricostruzione storica. Chi prova a mettere in discussione questo dogma viene subito bollato come negazionista, mentre le piste alternative e le incongruenze restano coperte dalla polvere del tempo, della pigrizia e della malafede. Ma continuare così significa condannare la memoria delle vittime a un eterna agonia, funzionale solo a mantenere in vita uno spauracchio politico che oggi si è trasformato in “fasciofobia“. Se davvero vogliamo giustizia, è tempo di rompere questo schema: riaprire il dossier, leggere tutto, ascoltare tutti e finalmente liberare la verità dai vincoli della propaganda. E se questo Governo, proprio perchè costantemente chiamato in causa, non coglierà l’occasione per sferrare un colpo decisivo al muro di bugie, allora si renderà complice di una lunga e persistente oscurità.

Sergio Filacchioni

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