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Dal sogno all’inganno: la casa tra promessa politica e diritto costituzionale

by Daniele Trabucco
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Roma, 30 ago – Il discorso del Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, al Meeting di Rimini, con l’annuncio di un “piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie“, si presenta come un gesto politico evocativo più che come l’avvio di una politica pubblica effettiva. L’appello a legare la casa alla natalità intercetta certamente un sentimento reale, ma scivola nella retorica identitaria: infatti, invece di delineare un disegno complessivo di politiche abitative quanto meno a grandi linee, si riduce a un annuncio privo di fondamento normativo e di dettagli più precisi.

La questione casa nel diritto costituzionale

La Costituzione vigente del 1948 offre coordinate precise: l’art. 47 tutela l’accesso del risparmio popolare alla proprietà della casa, ma la sua ratio non è esclusiva, né tantomeno può oscurare l’art. 3 sulla rimozione delle diseguaglianze sostanziali, o l’art. 42, che ancora la proprietà alla sua funzione sociale. Parlare di “giovani coppie” è importantissimo, ma se resta l’unico perno rischia di non rispondere in modo ordinato alla varietà dei bisogni abitativi che il Testo fondamentale obbliga a considerare: famiglie non giovani, lavoratori precari, anziani. Sul piano storico-giuridico, la distanza con i grandi piani casa del passato è evidente. Il Piano Fanfani del 1949 (INA-Casa) non fu uno slogan, bensì un intervento diretto dello Stato con costruzione di edilizia sovvenzionata e un disegno organico volto insieme a rispondere a un bisogno sociale e a stimolare l’economia. Negli anni Sessanta e Settanta, la legge ordinaria dello Stato n. 167/1962 e la legge formale n. 865/1971 segnarono la stagione dei PEEP e della programmazione pubblica dei suoli, fino al piano decennale della legge n. 457/1978, che pose al centro la funzione sociale dell’abitare. In quelle stagioni l’intervento pubblico fu strutturale, infrastrutturale, capace di incidere su vasta scala, benché contenesse non pochi problemi: dalla prevalenza della logica quantitativa su quella qualitativa, dalla standardizzazione delle abitazioni all’eccessivo utilizzo della leva espropriativa etc.

I “piani casa” e la deregulation urbanistica

Dal 2009 in poi, invece, i “piani casa” sono diventati strumenti di deregulation urbanistica, incentivi all’ampliamento, fondi immobiliari alimentati da capitale privato: politiche che hanno ridotto la dimensione pubblica e sociale, affidando la risposta al mercato con risultati limitati e frammentati. L’annuncio di Rimini si inserisce, pertanto, in questa traiettoria: non un piano nel senso proprio, quanto una promessa di leve finanziarie e di partenariato privato, priva dell’impianto universale che le stagioni precedenti avevano almeno tentato di perseguire. Gli strumenti evocati confermano questa impressione. La garanzia pubblica sui mutui, potenziata con CONSAP, è uno strumento utile per famiglie solvibili, ma non incide sulle cause strutturali del disagio abitativo: in un mercato rigido, l’ampliamento del credito tende ad alimentare i prezzi, senza abbatterli. I dati mostrano, sul punto, come milioni di famiglie con redditi medio-bassi siano ormai escluse dall’acquisto di un’abitazione; senza un’offerta nuova di edilizia sociale o di locazioni accessibili, il credito garantito rischia di rafforzare chi è già “quasi dentro”, lasciando fuori i più fragili. Né si può dimenticare che la questione abitativa non si risolve con politiche selettive, in quanto si risolve con una strategia multilivello che comprenda il recupero dell’edilizia residenziale pubblica, oggi in larga parte degradata, e un vero piano di manutenzione straordinaria, riqualificazione energetica, turn over nelle assegnazioni. Limitarsi a evocare “case non assegnate” o occupazioni abusive non sostituisce una politica vincolante, con cronoprogrammi, risorse certe e controlli effettivi.

Un annuncio importante ma fragile

A tutto questo si aggiunga il profilo costituzionale delle competenze. L’ERP (Edilizia residenziale pubblica), la gestione degli alloggi, i requisiti di assegnazione sono materie a forte trazione regionale e comunale. Un piano casa statale può fissare principi, obiettivi e cornici di finanziamento, ma non dettare regole di dettaglio o sostituirsi agli enti locali territoriali. Un annuncio che centralizza senza un disegno di reale collaborazione rischia di rimanere lettera morta, se non addirittura di incorrere in censure di illegittimità. Da ultimo, l’insistenza sul “prezzo calmierato” mostra, sul piano giuridico, un vuoto di contenuto. In questo quadro, l’annuncio di Meloni a Rimini mostra tutta la sua fragilità. Primo, perché non affronta la questione strutturale dell’edilizia residenziale pubblica, vero banco di prova di ogni politica abitativa. Secondo, perché si limita a mobilitare leve finanziarie senza un disegno organico di nuova offerta. Terzo, perché il riferimento alle giovani coppie è importantissimo, ma non può esaurire la politica della casa, che è, nella Costituzione, un diritto sociale di base da assicurare in termini universalistici.

Per la casa c’è bisogno di uno sforzo organico

La lezione della storia è chiara: i piani casa che hanno inciso furono piani veri, con risorse massicce, realizzazione diretta, vincoli giuridici e prospettiva decennale. Il discorso di Rimini è, al contrario, un annuncio politico, privo di cogenza, che rischia di tradursi nell’ennesimo atto di gestione simbolica. Una politica abitativa conforme ai principi costituzionali deve, allora, recuperare la dimensione universale ed il coordinamento nazionale e regionale. Solo in questo modo si potrà ridare alla casa il suo significato originario: non merce o privilegio, ma condizione di libertà reale. Tutto il resto è applauso che prima o poi cade nel silenzio…

Daniele Trabucco

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