Roma, 12 ago – Maurizio Landini ha trovato un nuovo bersaglio: il Ponte sullo Stretto di Messina. L’opera da 13 miliardi, che secondo le stime genererebbe oltre 120mila nuovi posti di lavoro, è finita nel mirino della Cgil. Non un’opposizione tecnica, ovviamente, ma una vera e propria offensiva politica, che il primo sindacato italiano ha scelto di portare direttamente a Bruxelles.
La Cgil scende in campo contro il Ponte sullo Stretto
In una lettera alla Commissaria europea per l’Ambiente, Jessika Roswall, la Cgil ha chiesto di non autorizzare l’avvio dei lavori, sostenendo che il progetto non rispetti le condizioni previste dalla Direttiva Habitat, presenti una valutazione ambientale “incompleta e viziata”, sia in contrasto con la strategia europea a zero emissioni e trascuri “rischi strategici e di sicurezza”.
Il paradosso è che la stessa Cgil, teoricamente impegnata nella difesa dell’occupazione, arriva così a chiedere lo stop a un’infrastruttura destinata a garantire migliaia di posti di lavoro e un indotto economico significativo per Sicilia e Calabria. La solita manovra di auto-sabotaggio che è già costata parecchio agli italiani: dal Nucleare all’Ilva. La reazione della maggioranza non si è fatta attendere. Matilde Siracusano, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, parla di iniziativa “incomprensibile e profondamente sbagliata”, mentre per il leghista Nino Germanà “ancora una volta la Cgil fa politica sulla pelle dei lavoratori”. A difendere Landini scende in campo Angelo Bonelli (Verdi), accusando il governo di non rispondere nel merito e ribadendo le critiche storiche all’opera. Intanto, il ministro Matteo Salvini ha incontrato il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo per discutere misure di prevenzione contro le infiltrazioni criminali nei cantieri del Ponte.
La crisi interna della Cgil
La battaglia contro il Ponte arriva in un momento di forte crisi interna per la Cgil. Dal 16 ottobre 2024 all’8 agosto 2025, almeno 45.000 iscritti hanno strappato la tessera, con una media di 5.000 disdette al mese. Un’emorragia che colpisce tutte le regioni italiane e che si somma a un calo di 177mila iscritti già registrato tra il 2019 e il 2023. Quasi la metà dei tesserati sono oggi pensionati, e non mancano accuse di “tessere per convenienza” legate agli sconti garantiti dalle convenzioni del sindacato. Un ruolo nell’esodo lo ha giocato anche la Cgl – Come Gestire i Licenziamenti, sigla scissionista fondata da tre ex dirigenti espulsi nel 2017, oggi riabilitati dalla magistratura. Il loro sito web offre una procedura semplificata per la disdetta, catalizzando il malcontento della base. Sul fronte economico, la situazione non è migliore: Futura Srl, la casa editrice della Cgil, ha chiuso il 2024 con quasi 5 milioni di euro di perdita e un fatturato sceso sotto i 3 milioni. Non manca chi accusa Landini di utilizzare la Cgil come piattaforma politica in chiave anti-governo, ripercorrendo un copione già visto con Camusso, Epifani e Cofferati. Lui smentisce ogni ambizione parlamentare, ma la coincidenza tra le sue battaglie e la linea dell’opposizione resta evidente. In ogni caso la fuga degli iscritti, unita ai conti in rosso, rischia di trasformare il “no” al Ponte in un ulteriore boomerang per il sindacato dopo lo scivolone sul referendum.
Le avventure di Landini costano caro
E così mentre l’Italia cerca di mettere a terra un’infrastruttura strategica, si avvera il solito paradosso che ci rende unici al mondo: l’opposizione che ci auto sabota, con alle spalle il più importante sindacato italiano. Questa ennesima guerra di Landini si inserisce pienamente nel solco della “cultura del No”, quella tradizione politica che dal rifiuto dell’Autostrada del Sole fino alle battaglie contro il TAV, ha fatto del blocco delle grandi opere un tratto somatico. Un atteggiamento che trascende le singole contingenze e si radica in una visione miope, che sacrifica occupazione, sviluppo e infrastrutture sull’altare di un’opposizione populista, antagonista, fintamente no-global. Come da copione, infatti, la macchina mediatica del fango e quella militante del “No-Ponte” si è già accesa.
Sergio Filacchioni