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Israele bombarda il cuore di Damasco: la Siria fatta a pezzi  

by Sergio Filacchioni
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Roma, 17 lug – Nella giornata del 16 luglio l’aviazione israeliana ha colpito con un bombardamento diretto il cuore istituzionale della capitale siriana: la piazza degli Omayyadi, il Palazzo presidenziale e il Ministero della Difesa. Un’escalation senza precedenti che alza ancora una volta l’asticella del conflitto che Israele combatte da anni contro la Siria.

Raid israeliano nel cuore di Damasco

Non si tratta di un raid isolato, ma di un tassello di una strategia più ampia che sta ridisegnando l’intero scacchiere mediorientale. Israele, insieme agli Stati Uniti, alla Turchia e alle monarchie del Golfo, sta approfittando del caos regionale per portare avanti una spartizione non dichiarata della Siria e per colpire l’Iran, ex alleato di Damasco e nemico storico di Tel Aviv. Come già documentato dal Primato Nazionale, quello che si sta consumando in Siria è molto più di un semplice scontro locale. Si tratta di un’operazione geopolitica a più livelli che vede coinvolti: Israele, che mira a mantenere il proprio vantaggio militare e a impedire la formazione di un fronte unificato tra Siria, Iran, Hezbollah e le forze della Resistenza; Turchia, che ha trasformato il Nord della Siria in un suo protettorato, sostenendo milizie islamiste e gestendo direttamente pezzi di territorio siriano (soprattutto ad Afrin e Idlib); Stati Uniti, che mantengono il controllo dell’area petrolifera di Deir Ezzor e del bacino dell’Eufrate, impedendo a Damasco di sfruttare le proprie risorse energetiche; Monarchie del Golfo, che finanziano sia i jihadisti che le aperture verso una normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni segmenti del mondo arabo, come dimostrano i colloqui per estendere gli Accordi di Abramo anche alla Siria, in chiave anti-iraniana.

Al Qaeda e la farsa dell’«esercito siriano»

Nella stessa logica rientra la manipolazione del racconto sulla Siria. Ancora oggi, i miliziani di Al Qaeda e di Hayat Tahrir al-Sham, guidati da Abu Mohammad al-Jolani, vengono presentati da molti media occidentali come “l’esercito siriano” o come ribelli legittimi. Una narrazione che ignora la realtà: la maggior parte di questi combattenti non è nemmeno siriana e combatte sotto bandiere takfire in una guerra per procura al servizio degli interessi stranieri. Nel frattempo, il vero esercito siriano, quello che ha difeso il Paese dal 2011 contro centinaia di migliaia di jihadisti e mercenari, ha perso oltre 100.000 uomini. Soldati e ufficiali che hanno sacrificato la vita per evitare la deflagrazione della Siria e che oggi vengono calunniati o cancellati dalla memoria collettiva imposta dall’informazione globalista.

La Siria come laboratorio del nuovo ordine mediorientale

Il bombardamento del centro di Damasco non è solo un atto militare: è un messaggio politico. Israele dimostra ancora una volta di poter colpire dove e quando vuole, senza temere reazioni. Intanto nel Sud del Paese, i disordini tra la minoranza drusa servono a fomentare ulteriori spaccature interne, mentre al Nord i terroristi di Al Jolani continuano a controllare un’area che funge da retrovia per le operazioni anti-governative. La Siria resta il laboratorio della nuova architettura del Medio Oriente: un mosaico di stati falliti, protettorati stranieri, enclave jihadiste e territori sotto occupazione. Uno scenario in cui l’unico vero vincitore, per ora, è il progetto israeliano di rimodellamento regionale. E se Gaza continua a riempire le prime pagine, il fuoco che brucia la Siria passa sotto silenzio. Ma non per questo è meno pericoloso.

Sergio Filacchioni  

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