
«Formule come “gli uomini nascono liberi e uguali nei diritti” non resistono all’analisi (“nascere libero”, nel senso proprio, non significa nulla)» disse Raymond Aron. «Sono liberi e uguali rispetto a una nascita e una natura ideale, che era quella che avevano in mente i giusnaturalisti», gli fece eco Norberto Bobbio. L’individualismo giusnaturalistico ispirato al liberalismo, di cui John Locke fu uno dei padri , fu proprio il minimo comun denominatore delle esperienze alla base della “costruzione”dei diritti umani. Una discreta e controversa parte la giocò anche l’influenza del cristianesimo, pensiamo all’importanza che rivestì l’idea cristiana di valorizzazione dell’individuo (inteso nel suo rapporto con Dio) e all’idea di fratellanza di tutti i “figli del signore”, nonostante le chiare radici illuministe e razionaliste dei diritti dell’uomo. Il Novecento vide il definitivo affermarsi su scala globale di questo ideale, testimoniato dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani Onu del 1948 . La concezione atomistica dell’individuo che ben si sposava con la figura dell’homo oeconomicus accompagnò l’espansione dei mercati, costituendo secondo Alain De Benoist «l’armatura ideologica della globalizzazione». I diritti umani si delineano perciò non come un elemento universale valido per tutti in ogni luogo della terra, quanto piuttosto fattore storico figlio di determinati avvenimenti e interessi.
Risultato: quest’idea ha spianato definitivamente la strada al liberalismo e ferito a morte le diversità dei popoli attraverso un «tirannico ipertrofismo morale» , che ne ha fatto il pretesto per condannare e colpire chiunque si discostasse dalle politiche della maggiore democrazia del pianeta, gli Stati Uniti d’America . Una certa (ridicola) sinistra ha favorito il processo, pretendendo di contestare l’attuale sistema economico globale in nome del buonismo, dell’apertura delle frontiere e dell’annacquamento dei confini e delle identità nazionali. Le istanze provenienti dal mondo universitario e da partiti come il PD ricordano più una moderna versione del «fardello dell’uomo bianco» piuttosto che ideali di vera libertà e emancipazione. La questione dei diritti umani è tutta politica quindi, non morale. In questo senso si sono mosse alcune obiezioni di parte marxista, che hanno denunciato il formalismo e gli stretti legami con gli interessi di una classe particolare (capitalistica e borghese) dell’idea di diritti umani . In Italia, in primo piano ci furono sin dall’Ottocento le critiche antiutilitaristiche e improntate all’«etica del dovere» di Giuseppe Mazzini. Le intuizioni mazziniane furono riscoperte e analizzate con rigore da uno dei massimi filosofi del Novecento, Giovanni Gentile, tanto da lasciar traccia in diversi documenti del Regime fascista (in primis nella Dottrina del Fascismo – 1932 e nel Dizionario di Politica – 1940) che fece dell’anti-individualismo uno dei suoi capisaldi. La concezione fascista di comunità e di popolo trovava espressione nel corporativismo, che richiamava cittadini e lavoratori alla massima partecipazione e alla massima responsabilità inserendole concretamente nella vita dell’impresa e dello Stato.
Bottai descrisse compiutamente questo processo di completamento e superamento della Rivoluzione Francese nella memorabile conferenza Corporativismo e principi dell’89. Agostino Nasti, una delle giovani leve bottaiane più interessanti, scrisse al proposito: «La comunità sociale, lo Stato, non è l’organizzazione creata per assicurare il benessere dell’individuo mortale nella sua limitata vita, ma è anzi la costruzione cui l’individuo è dedicato, in un continuo superamento di sé stesso, e che deve essere fatta vivere con la volontà e lo sforzo in ogni istante. Lo Stato consiste e vive nella coscienza, nell’azione, nel lavoro dei cittadini: e questa continua opera è l’attuazione di un dovere in quanto costituisce il superamento della particolarità individuale per realizzare quel più alto valore che si configura nella vita perenne della Nazione, e nel quale l’uomo attinge davvero la propria umanità. Il lavoro è insomma l’opera stessa con cui l’uomo contribuisce alla costruzione di quello Stato di cui è parte». Sono parole ancora oggi vive per chiunque voglia impostare un “discorso” anticonformista e italiano, in antitesi con l’astratto fantoccio dell’homo oeconomicus e nemico dell’ideologia dominante e della politica di potenza mascherata dietro la bandiera dei diritti umani e universali. Elogio delle differenze di Giovanni Damiano e Indagine sui diritti dell’uomo di Stefano Vaj sono due libri immancabili per chiunque senta sua questa battaglia. Per chiudere, è necessario menzionare un giurista come Carl Schmitt, il quale scrisse che «concepire la libertà come indipendente dalla partecipazione politica oppure come separata dalla comunità politica cui l’individuo appartiene è un’idea che gli antichi avrebbero considerato “assurda, immorale e indegna di un uomo libero”».
Agostino Nasti

2 comments
L’uomo non ha diritti, ha doveri, in primo luogo verso il Sacro. La libertà e la felicità dell’uomo come “diritti”, sono solo conseguenze concesse dall’adempimento dei propri doveri.
Finalmente una voce contraria a questo nuovo Moloch dei diritti umani. Già Friedrich Nietzsche aveva contestato i fondamenti filosofici di quelli che sarebbero stati i diritti umani, e lo aveva fatto in modo molto convincente. I diritti umani occidentali sono fondati sul monoteismo cristiano, sul sovrannaturalismo antropocentrico, e rappresentano un’ideologia totalitaria, imperialista, crimonogena, travestita dietro i paraventi di virtù morali. Un’ideologia che allontana sempre più l’uomo dalla natura, e che sottomette i diritti di tutte le altre specie viventi agli egoistici privilegi della specie homo. E’ ora di cominciare a demolire filosoficamente i diritti umani, e di riaffermare i sacrosanti diritti di natura.