Roma, 20 ago – «Gli europei avevano tutti la pelle nera fino a tremila anni fa». Questo il titolo sparato da quotidiani e siti generalisti in questi giorni, attribuito a uno studio dell’Università di Ferrara guidato dal genetista Guido Barbujani. Un annuncio presentato come “scoperta sensazionale” che ha messaggio chiaro e univoco: non solo veniamo dall’Africa, ma eravamo neri fino a ieri. Peccato che, dietro i titoli e le immagini, ci sia ben poco di scientifico e moltissimo di ideologico.
Europei nei fino a 3000 anni fa: una balla comunicativa
Lo studio in questione – firmato dalla dottoranda Silvia Perretti e non ancora sottoposto a revisione paritaria – ricostruisce tramite modelli probabilistici la pigmentazione di antichi individui eurasiatici. Risultato: su 25 campioni di 3.000 anni fa, ben 19 mostrano pelle chiara e solo 6 pelle scura. Dunque una minoranza, non certo “tutti”. La differenza – ovviamente – è enorme. Ma nell’articolo pubblicato dalla Nuova Ferrara e rilanciato subito da Repubblica e dai canali di divulgazione generica, l’informazione è stata manipolata: da “alcuni avevano pelle scura” a “tutti erano neri”. Aggiungi un’immagine ottenuta con AI di un europeo del bronzo in pelliccia ma con fattezze africane e la frittata semi-colta è fatta. Ma immaginiamo, solo per un momento, che per davvero fino a tremila anni fa l’intera Europa fosse composta da individui neri. In quel caso la depigmentazione – cioè la pelle chiara oggi diffusa nella quasi totalità degli europei – avrebbe dovuto affermarsi in pochissimi secoli. Un tempo ridicolo per i ritmi dell’evoluzione. Ma soprattutto, perché ciò avvenisse servirebbe un “progenitore bianco” capace di generare discendenza su scala continentale, o la comparsa della stessa mutazione depigmentante in modo simultaneo in tutte le popolazioni. Eventualità impossibili, a meno di scomodare la fantascienza di Jurassic Park.
La genetica è buona solo se distrugge i bianchi
Ma anche senza scomodare la genetica, basterebbe guardare le testimonianze iconografiche. Gli affreschi minoici di oltre 3.000 anni fa – la “Raccoglitrice di zafferano” o la cosiddetta “Parigina” – mostrano figure femminili dalla carnagione chiarissima. La Tomba del Tuffatore a Paestum, risalente al V secolo a.C., rappresenta uomini con tonalità rossastre da abbronzatura e bambini dalla pelle bianca. Non africani, non “tutti neri”: semplicemente europei mediterranei, già allora. Da anni Barbujani sostiene che non sia possibile ricostruire le “razze” dal DNA. Oggi, però, la stessa metodologia diventa improvvisamente affidabile per affermare che “gli europei erano neri”, così di botto. Schiaffiamo un titolone su tutte le testate online e contiamo sul supporto della divulgazione “automatica” che da per buona qualsiasi informazione arrivi dall’Ansa, Repubblica o Focus. Un doppio standard evidente: quando serve a provare le differenze, la genetica è imprecisa; quando serve a dissolvere l’identità europea, diventa oro colato. E dichiarazioni come “Nel momento in cui si colloca la leggendaria fondazione di Roma, ancora una parte significativa della popolazione europea aveva la pelle scura”, oltre ad offrire una sottotraccia scorretta (“Romolo e Remo potevano essere neri“), non appartengono alla scienza: sono frutto di ideologia politica più che di obiettività scientifica. Un’ideologia che si presta all’uso della ricerca come strumento di decostruzione storica e simbolica.
Dall’Out of Africa alla pigmentazione degli Europei
Non è un caso isolato. Per decenni la teoria dell’Out of Africa è stata imposta come dogma scolastico, accademico e culturale: l’umanità intera discenderebbe da un’unica popolazione africana migrata 70.000 anni fa. Un’idea che da teoria scientifica (probabile fino a prova contraria) si è trasformata negli anni nel pilastro del paradigma politico: “siamo tutti migranti africani”. Una teoria che però vacilla già da tanti anni, senza che questa venga minimamente intaccata nell’immaginario comune. Nessuna “notizia senzazionale” è stata data sui reperti di Djebel Irhoud in Marocco, datati a oltre 300.000 anni fa, che hanno anticipato di 100.000 anni l’origine della nostra specie. Nemmeno sulle scoperte del Max Planck Institute guidato da Svante Pääbo che hanno mostrato incroci fra sapiens, Neanderthal e Denisova in Asia. In effetti, il DNA denisoviano riscontrato nelle popolazioni dell’Estremo Oriente, insieme al ritrovamento in Grecia di un ominide più antico di un milione di anni rispetto ai reperti africani, hanno già smontato l’idea di un’unica “culla africana”. Allora ecco la svolta narrativa: se non possiamo più dire che veniamo tutti dall’Africa, dobbiamo almeno dire che eravamo comunque tutti neri. La stessa logica, con un lessico aggiornato.
La nuova frontiera del dogma progressista
Esagerazione? Non proprio. Nelle pagine di Trends in Ecology and Evolution, la ricercatrice Eleanor Scerri dell’Università di Oxford scrive che “l’evoluzione delle popolazioni umane in Africa è stata multiregionale” e che “la nostra discendenza era multietnica e multiculturale”. Tradotto: se non siamo tutti africani, allora siamo almeno tutti “meticci” da sempre. La scienza come ancella della propaganda: ieri per sostenere che “siamo tutti migranti africani”, oggi per affermare che “siamo tutti neri fino a ieri”, domani per ripeterci che “siamo tutti multiculturali da sempre”. Il caso Barbujani passa dall’essere una terribile semplificazione da clickbait ad essere un tassello di una strategia più ampia: usare la genetica e l’antropologia per veicolare messaggi politici funzionali all’ideologia dell’omologazione. La realtà – che la pelle chiara è presente in Europa da ben più di 3.000 anni, che l’evoluzione umana è stata tutt’altro che lineare, che non esiste una Storia unica e progressiva ma tante storie – conta poco. Ciò che conta è il titolo ad effetto, l’immagine d’impatto, il messaggio di fondo: “non siete diversi da chi oggi sbarca sulle vostre coste”. Ed ecco a voi la scienza piegata – volontariamente o meno – a propaganda: ieri con l’Out of Africa, oggi con la favola degli europei “neri fino a 3000 anni fa”.
Sergio Filacchioni