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Israele, il sistema difensivo brucia miliardi. Per quanto ancora?

by Sergio Filacchioni
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Roma, 20 giu – Mentre il conflitto tra Israele e Iran entra nel vivo e le sirene continuano a suonare tra Tel Aviv, Haifa e le basi nel deserto del Negev, un’altra sirena – ben più preoccupante – suona nei centri di comando israeliani: quella del conto economico.

Guerra asimmetrica, spesa sproporzionata

Secondo quanto riportato da Euronews, Israele spende in media 4 milioni di dollari per intercettare ogni singolo missile balistico iraniano. Un dato impressionante, che da solo racconta la fragilità di un sistema bellico ad alta tecnologia ma ad altissimo costo. E come se non bastasse, il Wall Street Journal rivela che gli Stati Uniti stanno rifornendo Tel Aviv d’urgenza, poiché le scorte di intercettori stanno finendo a una velocità allarmante. Ogni missile lanciato da Teheran – che si tratti di uno Shahab, di un Kheibar o di un drone suicida – costa fra i 100.000 e i 300.000 dollari. Per abbatterlo, Israele è costretto a usare intercettori da 1 a 4 milioni l’uno. Il risultato è una sproporzione finanziaria insostenibile, una guerra dove chi colpisce spende dieci volte meno di chi si difende. E questo è solo il costo vivo del singolo razzo: a esso vanno aggiunti i costi di manutenzione, tracciamento radar, logistica militare, mobilitazione delle unità, interruzioni civili. Dietro ogni missile intercettato, c’è una macchina che brucia milioni di dollari all’ora.

Washington corre ai ripari (per ora)

Il Wall Street Journal rivela che gli Stati Uniti stanno correndo contro il tempo per evitare il collasso del sistema difensivo israeliano. I magazzini si svuotano, i ritmi di produzione non bastano, e Israele ha già chiesto rifornimenti urgenti di missili intercettori, munizioni e componenti chiave. Per ora Washington risponde. Ma quanto potrà durare questo supporto illimitato? E soprattutto: quanto costa ogni giorno di guerra al contribuente americano? Nel frattempo, l’economia israeliana scricchiola. Le borse reagiscono con cautela, gli investimenti calano, il traffico civile viene dirottato via mare, tre petroliere sono state colpite nel Golfo dell’Oman e lo stesso Iron Dome ha mostrato gravi malfunzionamenti in assenza di attacchi diretti, forse segnale di un sabotaggio elettronico o di saturazione operativa.

L’Iran combatte a basso costo (e ci riesce)

La strategia iraniana è chiara: una guerra d’usura, lenta, sostenibile, prolungata nel tempo. Teheran ha rinunciato alla simmetria convenzionale, preferendo una guerra asimmetrica con droni a basso costo, missili di produzione interna e attacchi calibrati. Non mira alla vittoria totale, ma al logoramento continuo. Nel frattempo non ha abbandonato il proprio programma nucleare, né ha visto crollare la propria infrastruttura missilistica. Chi si logora, al momento, è Israele. Un Paese costretto a spendere cifre astronomiche per restare in piedi, e che – per farlo – deve dipendere dall’esterno: dai fondi americani, dalle partnership logistiche con le monarchie del Golfo, dal silenzio delle cancellerie europee. L’immagine di Israele come potenza ipertecnologica, capace di dominare i cieli e la guerra elettronica, è ancora parzialmente vera. Ma inizia a mostrare crepe profonde. Perché la vera guerra, oggi, è anche una guerra industriale. Chi ha le risorse per produrre, resistere, adattarsi, vince. E in questo momento, Tel Aviv spende troppo, consuma troppo, chiede troppo. Se il conflitto prosegue su questi ritmi, il vero limite non sarà militare ma contabile.

Israele rischia di perdere sul bilancio

L’errore di analisi più grave sarebbe pensare che la guerra si vinca solo con la precisione dei missili o con il dominio dell’aria. Una guerra come questa può sicuramente vincerla chi dura di più, e oggi è chiaro come l’Iran abbia calibrato il conflitto come una maratona, non come uno sprint. Israele, invece, brucia miliardi per neutralizzare missili dal costo dieci volte inferiore, mentre chiede soccorso ai suoi alleati per non crollare sotto il peso delle sue stesse tecnologie. È il paradosso della potenza avanzata: può tutto, ma solo finché ha fondi illimitati. Nel nuovo Medio Oriente, non conta solo chi ha l’arma migliore, ma chi può permettersi di usarla a lungo. E oggi, quell’equilibrio – finora scontato – si potrebbe rompere.

Sergio Filacchioni

    

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