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Iveco venduta a Tata Motors: l’Italia perde il grosso (ma tiene la difesa)

by Sergio Filacchioni
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Iveco

Roma, 31 lug – A meno di quattro anni dalla sua uscita autonoma in Borsa, Iveco Group è stato ceduto agli indiani di Tata Motors per 3,8 miliardi di euro. L’accordo è stato firmato con Exor, la holding della famiglia Agnelli, che così completa lo smantellamento sistematico di un’altra eccellenza italiana, dopo aver già ceduto il controllo di FCA agli olandesi di Stellantis.

Iveco, l’ennesima ritirata italiana

La parte relativa alla difesa e alla protezione civile (Iveco Defence Vehicles e Astra) è stata venduta a Leonardo per 1,7 miliardi, mantenendo almeno in mani italiane i mezzi militari e tattici, considerati strategici. Un contentino necessario, utile soprattutto per coprire politicamente un’operazione che, nel suo complesso, segna l’ennesima ritirata dell’Italia dall’industria pesante. Palazzo Chigi ha accolto con favore la notizia, parlando di “opportunità cruciale” per i lavoratori e per lo sviluppo del gruppo. Ma la realtà è che l’Italia cede ancora una volta controllo, marchio, know-how, forza lavoro e decisioni strategiche a una multinazionale estera. Tata Motors, controllata dal gruppo Tata – una delle più potenti dinastie industriali dell’India – acquisisce un colosso europeo con sede a Torino, 14.000 dipendenti italiani su 36.000 nel mondo, una rete di impianti produttivi, motori, autobus, mezzi pesanti, e un portafoglio di tecnologie avanzate per la mobilità del futuro.

Il gruppo indiano si assicura un hub europeo

L’Opa sul 100% delle azioni Iveco sarà lanciata nel primo trimestre del 2026 e porterà al delisting da Piazza Affari, dove Iveco era approdata solo nel 2022, dopo la separazione da CNH Industrial. Un passaggio silenzioso ma simbolico: l’Italia rinuncia a un altro suo marchio storico, e lo fa con l’entusiasmo di chi applaude la propria espropriazione. Le promesse non mancano: la sede resterà a Torino “per almeno due anni”, nessuna chiusura di impianti, niente licenziamenti. Ma queste clausole vincolanti hanno una scadenza precisa: 2027. Dopo, i piani di ristrutturazione, accorpamento o trasferimento potrebbero partire senza ostacoli. E già oggi i sindacati, in particolare la Fiom-Cgil, esprimono preoccupazioni reali per un futuro che, nelle parole, sembra garantito, ma nei fatti è più che mai incerto. La nuova entità che nascerà dall’unione Tata–Iveco punta a superare le 540.000 unità prodotte all’anno, con ricavi aggregati di circa 22 miliardi di euro. Tuttavia, la distribuzione geografica è eloquente: 50% dei ricavi in Europa; 35% in India; 15% nelle Americhe. Il gruppo indiano si assicura così un hub europeo senza costruirlo da zero, sfruttando impianti e infrastrutture esistenti. L’Italia si riduce a centro operativo, ma non più decisionale, mentre l’asse strategico si sposta verso il subcontinente indiano.

Iveco è l’ennesima cessione degli Agnelli

È inevitabile una riflessione amara: la stessa famiglia che ha fatto la storia dell’industria italiana continua a dismettere sistematicamente ciò che resta del proprio patrimonio industriale. Dopo Fiat, Magneti Marelli, CNH, ora tocca anche a Iveco. Exor incasserà circa 1,5 miliardi, mentre lo Stato italiano incassa soltanto parole: “cooperazione industriale”, “sinergie globali”, “nuove opportunità”. È il solito lessico del globalismo industriale, che tradotto significa: voi lavorate, noi decidiamo. Unica eccezione alla cessione generale è la parte militare di Iveco, venduta a Leonardo, società controllata dallo Stato. Si tratta della divisione che produce veicoli blindati, mezzi per la protezione civile, camion tattici: un settore delicato che non poteva finire in mani straniere. Il CEO Roberto Cingolani ha annunciato l’intenzione di rafforzare questa attività, anche in collaborazione con Rheinmetall, partner tedesco. Una mossa necessaria, ma che non cancella il dato politico ed economico di fondo: abbiamo salvato solo ciò che non potevamo permetterci di perdere.

La fine dell’industria nazionale

Tata Motors parla di “due mercati domestici” in India e in Europa. Ma l’Europa – e soprattutto l’Italia – rischia di diventare domestica solo nei numeri, non nei diritti, nella voce, nella strategia. Iveco, un tempo fiore all’occhiello del modello industriale italiano, sarà presto solo un ingranaggio di una macchina globale che risponde a interessi lontani. Se questo è il futuro, allora il prezzo da pagare sarà la fine dell’industria nazionale come l’abbiamo conosciuta.

Sergio Filacchioni

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