Roma, 21 ago – Lo sgombero del Leoncavallo di Milano ha aperto un vero e proprio terremoto politico a sinistra. Le reazioni, infatti, sono state subito pilotate fuori dai binari: da un lato chi difende lo storico centro sociale accusando il governo di “repressione”, dall’altro chi ammette la fine di una stagione e chiede che non restino in piedi “due pesi e due misure”. Tradotto: la discussione si è ridotta al mantra “e allora CasaPound?”.
Dopo lo sfratto del Leoncavallo la sinistra ci prova con CasaPound
Dall’Anpi in giù, infatti, le reazioni allo sgombero (o sarebbe meglio dire sfratto) si sono polarizzate subito sull’unica occupazione di destra in Italia, CasaPound. Una mossa prevedibile, in pieno stile sinistra: scansare autocritica e assunzione di responsabilità per sbrigarsi a chiedere la forca per gli altri. Wired è perfino andata oltre: ammettere che esiste il caso CasaPound, ma solo per ribadire che “non è la stessa cosa” e che il Leoncavallo avrebbe un presunto valore culturale che lo stabile dell’Esquilino non ha. Ma da via Napoleone III la risposta non si è fatta attendere. CasaPound ha replicato con una nota lucidissima, che rimarca le vere differenze con il “Leonka”: “Il Leoncavallo era ospitato in un edificio di proprietà privata. CasaPound, al contrario, da oltre vent’anni ha sede in un immobile del demanio dello Stato sottratto al degrado e alla speculazione, nel cuore di Roma, in un quartiere multietnico dove la nostra presenza non ha mai creato alcun problema di ordine pubblico. Anzi: in questi anni, CasaPound ha organizzato centinaia di eventi culturali, conferenze, presentazioni e dibattiti, ospitando anche figure e intellettuali lontanissimi dalle nostre posizioni, a dimostrazione che la nostra sede è stata ed è un punto di confronto e di apertura culturale, non di chiusura”. Un paragone che, secondo i militanti della Tartaruga, non regge sotto nessun aspetto: “A differenza di centinaia di occupazioni rosse e di immigrati presenti a Roma e in tutta Italia, CasaPound è l’unico spazio dove sventola il tricolore, una sproporzione immensa. E mentre la sinistra si esercita in polemiche pretestuose, dimentica che in via Napoleone III venti famiglie italiane in emergenza abitativa hanno trovato una casa, un sostegno e una comunità”.
CP replica con una nota lucidissima che affonda il dito nella piaga
Infine l’affondo contro il sistema ipocrita che ruota attorno ai centri sociali: “Le cronache giudiziarie più recenti hanno mostrato il vero volto di un business milionario che coinvolge direttamente anche pezzi delle istituzioni. A Roma, ad esempio, alcune occupazioni sono state di fatto acquistate con fondi pubblici, perfino con i soldi del PNRR, e poi assegnate direttamente agli occupanti a spese dei contribuenti: il caso del Porto Fluviale, costato milioni di euro, è solo l’ultimo esempio”. Parole che smontano la narrazione dell’Anpi e riportano il dibattito sul piano reale: non due pesi e due misure, ma due mondi diversi. Da una parte il business dei centri sociali, dall’altra uno spazio identitario che da vent’anni è punto di riferimento culturale e politico. Ed è qui che emerge l’ipocrisia più grande della sinistra. Perché mentre si stracciano le vesti per lo sgombero del Leoncavallo, dimenticano (o meglio nascondono) che a Napoli l’ex OPG occupato “Je so’ pazzo” è stato regolarmente foraggiato con fondi pubblici, perfino con quelli del PNRR, presentato come presidio “sociale” ma in realtà trasformato in un business milionario. Lo stesso copione si è visto a Roma, con il caso del Porto Fluviale, costato milioni di euro e di fatto “acquistato” con soldi dei contribuenti per essere poi regalato agli occupanti. Un sistema che non solo legittima le illegalità dei centri sociali, ma le premia con risorse pubbliche destinate allo sviluppo e alla ripresa economica del Paese.
Il “povero” Leoncavallo ha già una nuova casa
Il “povero Leoncavallo”, intanto, non resterà certo senza tetto: il Comune ha già messo a disposizione un nuovo immobile in via San Dionigi, zona Rogoredo, concordato con l’associazione “Mamme del Leoncavallo” per trasferire lì tutte le attività. Altro che sgombero traumatico: è solo un trasloco di lusso pagato dai contribuenti. Di fronte a tutto questo, quindi, il mantra “e allora CasaPound?” diventa ridicolo. Perché CasaPound non ha mai ricevuto un euro di denaro pubblico, non è mai stata assegnataria di fondi né ha trasformato l’occupazione in rendita economica. È anzi l’esatto contrario: un’esperienza comunitaria che ha restituito vita a un immobile in degrado, offrendo una casa a famiglie italiane e uno spazio di confronto culturale. La sinistra lo sa, ma non lo ammette: preferisce evocare fantasmi e aggrapparsi all’unica occupazione di destra in Italia, mentre continua a proteggere e finanziare i propri feudi rossi. La verità è semplice: a differenza dei centri sociali rossi, CasaPound non vive di parassitismo ma di comunità. E proprio questo è ciò che la sinistra non può perdonare: che esista un’occupazione che non è business, non è privilegio, ma è esempio di identità e coerenza senza compromessi.
Sergio Filacchioni