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Marocchinate: un’altra pagina strappata alla storia, ma pericolosamente attuale

by Tony Fabrizio
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Roma, 19 mag – 50 ore di libertà e diritto di preda, l’orrore senza fine di quelle che sarebbero passate alla storia come marocchinate. Questo ottennero i goumier, i soldati africani aggregati all’esercito francese nella Seconda guerra mondiale, non perché avessero contribuito a sfondare la Linea Gustav – non erano esperti combattenti, infatti – ma perché più cannibali di loro non c’era nessuno. Dopo aver avuto ragione dei tedeschi (che avvisarono la popolazione locale che sarebbero arrivati i marocchini) nella battaglia di Montecassino e dopo aver bombardato anche la famosa Abbazia risalente al VI secolo d.C., i “buoni” della storia pensarono bene di terrorizzare i civili dell’Italia centro-meridionale. Che, come tali, non erano combattenti.

L’orrore delle Marocchinate

Gli Alleati (ma di chi?) distribuirono alle truppe di nordafricani un volantino scritto in francese e in arabo con un messaggio che recitava: “Soldati! Questo è il momento di avere la libertà nelle vostre mani e più bottino della mera battaglia vinta. Dietro il vostro nemico, ci sono le loro donne, le loro case piene di vino e oro. Uccidete ogni vostro nemico e tutto questo sarà vostro. Nessuno vi contesterà per quello che farete!!!”.

60mila tra stupri e omicidi furono ciò di cui si resero protagonisti questi primitivi africani col coltello ricurvo al seguito per mezzo del quale tagliavano le orecchie alle loro vittime. Stuprarono donne dagli 11 agli 86 anni e anche gli uomini che provarono a difendere le loro mogli, le loro figlie e le loro madri. Laddove le donne trovate nei paesini in cui erano capitati erano in numero insufficiente a sfamare il loro istinto animalesco, stupravano pure gli animali. Stuprarono persino un prete cattolico, don Alberto Terril, che a Esperia, nel frusinate, cercò di salvare tre donne dalle sevizie dei barbari. Il sacerdote fu legato a un albero e sodomizzato tutta la notte e morì due giorni dopo per le ferite provocate. Ancora legato all’albero. Come lui, circa 700 uomini.

I referti dei medici che tentarono di curare le poche (s)fortunate sopravvissute parlano di lacerazioni anali e lesioni alle corde vocali dovute alla penetrazione forzata per il sesso orale. A molte di loro furono rotti pure i denti per evitare che mordessero il pene degli stupratori in divisa durante le costrizioni a praticare rapporti orali. In tante non sopravvissero: difficile resistere alle violenze di 200 cannibali in un solo corpo. È ciò che accade a due ragazzine di 15 e 18 anni di cui una morì per le ferite inflitte dai tunisini francesizzati, l’altra trascorse gli ultimi 53 anni di vita in una struttura psichiatrica. Lunghe fila di soldati dalla pelle nera, come quelle di cui si ha memoria in questo dramma, era lo scotto che pagavano le ragazze più carine. Chiaramente, l’orda di barbari faceva razzia anche di cibo, di vestiti e di ogni altro bene. Dopo bruciavano pure le case.

Come da prassi, nelle pagine dell'”eroica battaglia” scritte dai vincitori, previe epurazioni, di questi fatti occorsi non si fa menzione. Un’altra pagina del reale strappata. Come le Foibe. Come Dresda. E come numerose altre azioni che i liberatori si riservarono di praticare a guerra finita, sulla popolazione civile, per la sola colpa di essere mogli, figli, collaboratrici di fascisti. O semplicemente per essere italiani che difendevano italiane come il don di Esperia e gli uomini del basso Lazio, della Campania, della Sicilia, della Sardegna, del Molise, della Toscana.

Un’altra pagina strappata alla storia, ma pericolosamente attuale

Chi pagò per questi crimini come mai prima e poi nella storia si sono verificati? Nessuno. Come sempre. Come se nulla fosse successo. E, come se nulla fosse successo, oggi si festeggia la liberazione, in nome di una libera azione come questa. Si ignora chi siano stati e cosa abbiano fatto in Italia i goumier e allora sì che si può anche frignare affinché non ci lascino da sole con i fascisti. Non si ricordano nemmeno nozionisticamente storie che ci appartengono come queste e lo si fa volutamente perché si possa incensare la società multietnica. Si spalancano i confini a orde di invasori con una facilità inversamente proporzionale alla facilità con cui le italiane tentarono di non aprire loro le gambe. Di bianco vestiti ci spacciano pace e accoglienza urbi et orbi persino dopo aver omaggiato questi trogloditi criminali con una santa messa a domicilio, dal luogo in cui sono seppelliti.

Nessun onorevole pensiero social del politico di turno che ha mandato a riposo persino il suo spin doctor nella domenica appena trascorsa che ricordava la Giornata nazionale delle vittime le marocchinate. Nessun hashtag di tendenza, nessuno pseudo-colto che dalla tivvù vada a ripescare tale Ted Bee, rapper ignorato nel mondo del rap esasperato, che ha messo in musica la vicenda. Non parla di droga, di soldi facili e di scopare fighe bianche, anche se è ciò che succede oggi, ogni giorno in ogni città italiana. Lo dicono i numeri. Marocchinate 2.0. Numeri come questi e come lo zero percentuale della crescita della popolazione italiana si traducono in una locuzione che suona quale “sostituzione etnica”. Oggi che persino le Forze Armate sono state fatte diventare così inclusive da aprire le selezioni persino a quella gente straniera da cui loro stessi hanno giurato di difendere la propria Nazione e “fare libero il suolo natìo”. Le stesse “forse” Armate che nel loro archivio per anni hanno “custodito” documenti che provano che le Forze alleate e il controspionaggio sapevano delle marocchinate.

A pochi giorni dal referendum per regalare la cittadinanza facile agli stranieri, mentre politicanti di mestiere quale Beppe Sala vorrebbero cancellare convegni a tema ed erigere altre steli in ricordo e ringraziamento, non taceremo mai quest’altra pagina strappata e buttata via di quella storia magistra vitae che insegna che è giunto il momento di svegliarci una volta per sempre perché lo stesso film dell’orrore di allora si vive quotidianamente oggi e non solo più in una sola parte d’Italia. Per quel senso di giustizia, di verità e di libertà nei confronti delle vittime di tale scempio, verso ciò che è stata la nostra storia vera e perché cessino di propinarci dal ’43 in poi la favola bella che ieri lo illuse, che oggi ancora illude.

Tony Fabrizio

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