Home » Riconoscere la Palestina senza Hamas: la mossa pragmatica (ma subordinata) della Meloni

Riconoscere la Palestina senza Hamas: la mossa pragmatica (ma subordinata) della Meloni

by Sergio Filacchioni
0 commento
Palestina Italia

Roma, 24 sett – Il premier Giorgia Meloni ha annunciato a New York l’intenzione di presentare in Parlamento una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina, ma subordinandolo a due condizioni: la liberazione degli ostaggi e l’esclusione di Hamas da ogni forma di governo a Gaza. Una posizione che ricalca l’impostazione belga e che tenta di spiazzare l’opposizione, sfidandola su un terreno che finora era stato terreno esclusivo delle sinistre.

L’Italia detta le sue condizioni sul riconoscimento della Palestina

L’iniziativa giunge nel momento più delicato: da un lato l’Italia e la Germania restano isolate in Europa di fronte all’ondata di riconoscimenti ufficiali della Palestina, dall’altro l’opinione pubblica interna è scossa dalle immagini di Gaza e dalle accuse di genocidio rivolte a Israele da organismi internazionali e ong. Le piazze, spesso attraversate da tensioni e violenze, testimoniano che la questione palestinese non è più un tema “estero” ma tocca nervi scoperti della società italiana ed europea. Meloni però non giustifica tale scelta sulla base del genocidio in atto. Preferisce parlare di “pressione politica” su Hamas, individuato come l’unico ostacolo alla pace. Ma è evidente che la premier cerchi soprattutto di guadagnare margini diplomatici senza rompere con Israele e Stati Uniti, mantenendo nel contempo un profilo meno isolato in Europa. La mozione ha dunque una doppia funzione: interna, per disinnescare l’attacco delle opposizioni, ed esterna, per presentare l’Italia come attore responsabile e “serio” sul piano internazionale. Ma l’opposizione al momento non sembra voler abboccare. Per Schlein si tratta di “giochi di prestigio”, mentre Conte parla di “espediente ipocrita”. Entrambi chiedono un riconoscimento pieno e immediato, allineandosi alla scelta di Francia, Spagna, Regno Unito, Canada e Australia. Sul fronte opposto, i vertici israeliani accusano i Paesi che riconoscono la Palestina di premiare il terrorismo, mentre figure della destra sionista spingono per l’annessione totale della Cisgiordania e lo smantellamento dell’Autorità nazionale palestinese.

Perchè riconoscere al Qaida e non Hamas?

Colpisce il doppio standard occidentale: da un lato ci si rifiuta di riconoscere Hamas (con cui tra l’altro Israele tratta) come interlocutore politico, bollato come “terrorista” e usato come alibi per rinviare sine die il riconoscimento dello Stato palestinese; dall’altro accoglie a New York, con tutti gli onori, Ahmad al Sharaa – meglio conosciuto come Abu Mohammad al Jolani – ex leader del Fronte al Nusra, già inserito nelle liste nere del terrorismo jihadista. L’uomo che guidò la filiale siriana di al Qaida, dopo aver rotto con l’Isis, è oggi presidente ad interim della Siria ed è arrivato al Palazzo di Vetro come un qualsiasi capo di Stato, pronto a sedere accanto ai grandi della Terra e a trattare direttamente con Washington, Tel Aviv e Bruxelles. Al Jolani è in visita ufficiale negli Stati Uniti e tra i primi incontri figura proprio quello con l’ex direttore della CIA David Petraeus. Una strana coincidenza, se si considera che fu durante il mandato di Petraeus a capo della CIA che Al Jolani lasciò una prigione irachena e pose le basi per fondare Jabhat al-Nusra, il ramo siriano di al Qaida, oggi trasformato nella forza che governa Damasco. Un ex ricercato internazionale, con anni di detenzione alle spalle e una storia di massacri, che il sistema internazionale ora legittima come interlocutore di pace. Questo paradosso mostra la natura strumentale del discorso “antiterrorista”: la linea di confine non è dettata dalla morale o dal diritto, ma dalla convenienza politica. Potrebbe essere superfluo dirlo, ma quando in Italia ci sono personaggi della maggioranza come Salvini che ripetono il frame “Israele ha diritto di difendersi“, il sospetto che qualcuno ci creda davvero sorge spontaneo.

Israele verso l’isolamento morale e diplomatico

In ogni caso, come abbiamo già scritto in passato, il dato politico più rilevante è che mai prima d’ora l’Onu e la comunità internazionale si erano schierati con tale chiarezza a favore della Palestina. Con oltre 150 Stati già schierati, e nuove adesioni di membri del G7, Israele rischia un “momento Sudafrica” – come l’ha definito Alessia De Luca sulla pagine dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale). Cioè un progressivo isolamento morale e diplomatico che, se accompagnato da sanzioni concrete, potrebbe incrinare la sua impunità storica. Per ora, tuttavia, nessuno in Occidente sembra disposto a spingersi oltre i riconoscimenti simbolici. Roma si muove con estrema cautela, allineata a Berlino, e rimane nel solco dell’asse atlantico con Washington e Tel Aviv. La mozione annunciata da Meloni è più un esercizio di equilibrismo che una vera scelta di campo. Condizionare il riconoscimento della Palestina alla resa di Hamas significa infatti subordinare il diritto di un popolo ad esistere a una pace unilaterale, imposta dall’alto, che non contempla il diritto a difendersi e che viene negoziata con lo stesso soggetto – Israele – che da decenni lo bombarda e ne limita ogni forma di sovranità reale. Piaccia o no, è Hamas l’unica vera autorità politica e militare sul campo: l’ANP di Abu Mazen e Fatah si sono ridotte a poco più che appendici amministrative dello Stato ebraico (l’ultimo voto risale al 2006), prive di legittimità popolare e incapaci di esercitare un reale potere. Hamas, nonostante repressione e guerra, gode invece di un consenso significativo, soprattutto in Cisgiordania e nelle fasce d’età più giovani.

La posizione italiana è pragmatica ma subordinata

Nell’ora in cui il genocidio di Gaza ha spinto mezzo mondo a riconoscere la Palestina, l’Italia rischia di apparire timida e costretta a muoversi tra pressioni contrapposte. L’idea di uno Stato palestinese “a condizione che Israele sia d’accordo” rimane una contraddizione, perché uno Stato non nasce per concessione del suo occupante, ma dalla volontà di un popolo di esistere. Subordinare questo diritto a una pace unilaterale, che non prevede difesa né autonomia, significa di fatto legarlo alla disponibilità del soggetto che da decenni lo bombarda. Tuttavia, la scelta di Meloni mostra anche una dose di pragmatismo politico: trasformare il riconoscimento in leva negoziale consente all’Italia di non restare del tutto schiacciata sull’asse israelo-americano e al tempo stesso di mettere in cortocircuito la sinistra. Una mossa furba, che evita la “rottura” (che ci aspetterebbe da un paese come l’Italia) e che sconta i limiti oggettivi della cornice internazionale in cui Roma si muove.

Sergio Filacchioni

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati