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La linea Salvini tra disfattismo e propaganda: il sovranismo che non difende nessuno (nemmeno l’Italia)

by Sergio Filacchioni
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Salvini

Roma, 11 dic – Le dichiarazioni di Matteo Salvini sull’Ucraina — «basta armi, non tolgo soldi alla sanità per una guerra persa» — appartengono a un copione che ormai si ripete con puntualità. Non è solo una posizione politica, ma un frame narrativo preciso: l’idea che l’Italia stia sacrificando la propria stabilità interna sull’altare di un conflitto “inutile”, già deciso, che si potrebbe chiudere domani se solo Zelensky accettasse di “cedere qualcosa”. È la stessa semplificazione che rimbalza da mesi nei talk show, sui profili social di mezzo Parlamento e negli editoriali più disinvolti del panorama mediatico. Ma è soprattutto una semplificazione che coincide in modo sospetto con il racconto che Mosca costruisce per indebolire l’unità europea.

Salvini e i conti falsi delle armi all’Ucraina

Salvini sostiene che i fondi per Kyiv sottrarrebbero risorse alla sanità italiana. È falso. L’Italia non ha mai deviato un euro dal Fondo sanitario nazionale per finanziare la resistenza ucraina. I pacchetti approvati in questi due anni sono composti per la maggior parte da mezzi già presenti nei depositi, spesso obsoleti o in via di sostituzione; il valore è stimato fra i 2,5 e i 3 miliardi di euro, una cifra complessiva che rappresenta meno dello 0,15% del PIL. Anche includendo i contributi all’European Peace Facility, non si arriva a numeri che possano giustificare la retorica del “sacrificio sanitario nazionale”. Altro che “ospedali chiusi per aiutare Zelensky”: parliamo di una voce marginale del bilancio statale, al confronto di decenni di sprechi ben più gravi. In effetti Salvini ripete a pappagallo quello che già era stato affermato dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, quando pensò bene di sfruttare il crollo della Torre dei Conti per lanciare il solito dardo propagandistico: «Finché l’Italia continuerà a spendere soldi per l’Ucraina, l’Italia continuerà a crollare». Una frase costruita per fare presa su un Paese sfiduciato, che ha davvero cantieri che non aprono, infrastrutture che cedono e un debito fuori controllo. Ma la realtà è che ciò che cade in Italia non cade certo “a causa di Kiev”. Le nostre voragini di bilancio hanno nomi e cognomi molto più domestici: 124 miliardi bruciati dal Superbonus, 35 miliardi del Reddito di Cittadinanza, banchi a rotelle, bonus a pioggia e una stagione di assistenzialismo che ha creato un buco generazionale e un debito pubblico che pagheremo per decenni. È qui che si trova la nostra fragilità strutturale, non nei mezzi militari inviati a Kyiv.

Una contraddizione stessa del sovranismo

Ed è proprio questo il punto che la propaganda, russa o nostrana, vuole occultare. Attribuire all’Ucraina responsabilità che appartengono interamente alla politica italiana significa spostare il discorso su un terreno più comodo: quello delle emozioni, della paura, dell’idea che “non possiamo permettercelo”. Non è un caso che lo stesso schema ricompaia nelle parole di Salvini quando parla di “guerra persa”. Una guerra si definisce persa quando uno dei contendenti accetta condizioni imposte dal nemico o cessa di esistere come attore politico. Nulla di tutto questo sta accadendo all’Ucraina. Kyiv ha perso terreno a est, com’è noto, ma non è collassata né politicamente né militarmente; la Russia, dal canto suo, ha preteso un prezzo altissimo in uomini, economia e stabilità interna per tutti ogni chilometro quadrato conquistato. Dichiarare la guerra “persa” significa accettare acriticamente la logica di chi vuole far percepire come inevitabile ciò che non lo è. Sarebbe come saltare sulla macchina del tempo, scendere nel novembre del 1917, e dire all’Italia che la “guerra è persa” perchè gli austriaci ormai sono arrivati sul Piave. Salvini del resto non ha soluzioni. Si limita ad evocare il piano di Trump come se fosse una soluzione pragmatica e immediata: due presidenti che si siedono a un tavolo e ridefiniscono i confini europei, stabilendo cosa l’Ucraina debba “concedere”. Un’idea che contraddice l’essenza stessa del sovranismo che Salvini dice di rappresentare. Perchè se il destino dei confini europei può essere deciso a Washington e a Mosca, senza l’Europa e senza l’Ucraina, allora il concetto di sovranità nazionale evapora in favore di un condominio russo-americano.

L’Italia svende la sua credibilità politica

La verità, per quanto scomoda, è semplice: l’Italia non sta pagando per “una guerra persa”, svende la sua credibilità politica per una narrazione che trasforma un’aggressione in un incidente, una resistenza in un capriccio, un alleato europeo in un peso morto. Le frasi di Salvini non rispondono a un’analisi strategica che riguardano gli interessi Italiani (sarebbe già qualcosa), ma alla necessità elettorale di cavalcare l’onda anti-UE. Dietro quella frase — “non tolgo soldi alla sanità per una guerra persa” — non c’è una proposta, c’è solo un vuoto incolmabile: nessuna idea di quale pace immaginare, nessuna idea del ruolo dell’Italia in Europa, nessuna memoria storica, nessuna consapevolezza del prezzo di una resa mascherata da realismo. Ed è proprio qui che il dibattito italiano mostra il suo limite più profondo. La critica all’UE e alla Nato è legittima quando nasce da una volontà di autonomia, ma diventa autolesionista quando ripete, acriticamente, schemi argomentativi che arrivano direttamente dalla propaganda di un Paese in guerra con l’Europa. L’Italia non difenderà i propri interessi – o il proprio welfare – aderendo all’aforismario del disfattismo. E il fatto che il ministro dei trasporti impegnato sul progetto del Ponte sullo stretto, aderisca agli stessi schemi logici dei no-grandi-opere (“Qualcuno pensi alla sanità!“) è il dato più preoccupante.

Salvini, il sovranista senza forza

Che Salvini, Travaglio e Orsini lo sappiano oppure no, questa è una guerra che deciderà il futuro equilibrio europeo, e che non può essere liquidata con un “è già persa”. Salvini sceglie la via facile: raccontare una favola rassicurante in cui la pace è a portata di mano, basta “smettere di aiutare gli ucraini”. La realtà è diversa. La pace non arriva quando si smette di parlare dell’aggressore, ma quando l’aggressore capisce che i costi dell’aggressione superano i benefici. Questa è la regola della guerra, forza non economia. E finché la politica italiana confonderà l’una con l’altra, continueremo a discutere di un mondo che non esiste, mentre quello reale si sposta senza di noi.

Sergio Filacchioni

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