Roma, 28 lug – Qualcosa si muove nell’immaginario collettivo americano. Dopo anni di pubblicità costruite attorno a slogan progressisti, testimonial simbolici e inclusività a comando, il pubblico sembra sempre più insofferente verso un marketing che parla di sé, ma non al consumatore. A dimostrarlo, con chiarezza lampante, è il caso American Eagle – Sydney Sweeney, diventato fenomeno virale e culturale.
Quale idea! Sweeney con i jeans
American Eagle Outfitters, marchio storico del denim americano, dopo un periodo buio (culminato in una campagna fallimentare con la modella Saaneah, pensata per cavalcare i trend “inclusivi”) ha cambiato completamente direzione. Il nuovo volto scelto è Sydney Sweeney, attrice americana nota per la serie Euphoria, ma soprattutto simbolo di una femminilità classica, radicata, reale: una ragazza bella, bionda, atletica, sorridente. In jeans. Quale idea! Verrebbe da rispondere con sarcasmo di fronte a una scelta tanto semplice e sostanzialmente banale. Se non fosse che ha fatto infuriare i soliti ambienti progressisti e fatto volare il brand.
Il solito fuoco incrociato
Come riporta il Daily Mail, la campagna con Sweeney ha scatenato il solito fuoco incrociato su X (ex Twitter), accusando il marchio di “non rappresentare la diversità” e di aver scelto “l’ennesimo volto stereotipato”. Ma la polemica ha raggiunto vette surreali: alcuni utenti hanno attaccato perfino lo slogan “Great Jeans”, interpretandolo come un gioco di parole con “Great Genes” (grandi geni genetici), insinuando che il brand stesse celebrando la bianchezza, la magrezza e l’attrattività eurocentrica. Un’accusa tanto ridicola quanto rivelatrice: il marketing woke è diventato una caccia semantica, dove ogni parola può essere sospettata di “privilegio”. Ma il pubblico, per fortuna, ragiona ancora: invece di scandalizzarsi per una battuta sui jeans, ha premiato una campagna semplice, diretta, e soprattutto vera.
La Sweeney batte tutti
Come ha sottolineato anche Il Primato Nazionale in un recente articolo, la forza di Sydney Sweeney è proprio quella di non avere nulla di forzato. Nessuna posa intellettuale, nessuna missione sociale, nessun bisogno di “decostruire i ruoli di genere”. La sua figura parla dritto al cuore di una generazione che ha fame di normalità, di autenticità, di libertà senza ideologia. Invece di “educare” il pubblico, American Eagle ha finalmente deciso di rappresentarlo. E così, nello spot rivive decisamente l’American way of life: la Ford Mustang, una ragazza grintosa in t-shirt bianca e jeans. Un’America più iconica che reale, ma che almeno non vuole venderci la spazzatura woke.
Meme stock, boom in borsa e ritorno al mito americano
La reazione commerciale è stata immediata: American Eagle è esplosa come “meme stock”, cavalcata da forum come WallStreetBets e TikTok, dove gli utenti hanno ironizzato definendo AEO “la nuova GameStop” — ma con risultati concreti. Le vendite sono salite, le azioni hanno guadagnato valore, e il brand ha riconquistato la scena. Non è solo un successo pubblicitario: è un segno culturale. Il ritorno a simboli “reganiani” — il denim, la libertà individuale, il sogno americano fatto di macchine veloci e ragazze veraci — sta segnando una frattura sempre più netta con il marketing post-identitario degli ultimi anni.
Marketing, ESG e realtà: la frattura che si allarga
Il caso American Eagle-Sweeney segna un punto di crisi per il modello ESG (Environmental, Social, Governance), sempre più percepito come scollegato dalla realtà. Campagne incentrate su diversità obbligatoria, messaggi educativi, e testimonial scelti più per curriculum ideologico che per empatia col pubblico hanno prodotto un marketing freddo, distante e autoreferenziale. L’ESG non vende. Al massimo compiace. E il pubblico, che magari non ha un master in gender studies, ma ha buon senso e istinto visivo, se n’è accorto. American Eagle ha interrotto questo circuito vizioso e ha rimesso al centro il cliente, non l’attivismo. Il messaggio? Non c’è niente di sbagliato nell’essere una ragazza bianca, sorridente, in jeans. Non c’è nulla da “decostruire”. C’è solo da vivere, scegliere, e – ovviamente – comprare. Perché il capitalismo “etico” non esiste.
Un cambio di paradigma?
Segnali simili arrivano anche da altri brand: Bud Light, dopo il crollo causato dalla collaborazione con Dylan Mulvaney, ha tentato goffamente un ritorno alla mascolinità; Target e Nike hanno abbassato i toni “militanti” delle loro recenti campagne. Persino Netflix ha iniziato a produrre contenuti meno caricati ideologicamente. Coincidenze? No, risposte al mercato. Se il caso Sweeney non è un’anomalia, va detto anche che il ritorno ai codici simbolici dell’americanismo più classico e schietto no va scambiato con il ritorno effettivo di una qualche “visione del mondo”. Quelle proposte dal marketing sono pur sempre “pose”. Lo stile e la postura reale appartengono ad altri codici: “Mi facevano pena quei ragazzi ammassati nelle palestre che cercavano di somigliare a quello che gli dicevano Calvin Klein o Tommy Hilfiger“, diceva Jack/Tyler Durden in Fight Club. Se le ragazze ora cercheranno di essere un po’ più Sweeney, piuttosto che Eliott Page, sarà per la nostra gioia o la nostra pena.
Evviva la ragazza con i jeans
Se il marketing aveva smesso di raccontare storie condivise per inseguire micro-agende ideologiche, il caso American Eagle – Sydney Sweeney mostra che si può tornare a parlare alla maggioranza silenziosa, a quella vasta parte di società che non si sente rappresentata da slogan ma da emozioni (o forse sarebbe meglio dire “erezioni”) vere. Perché come diceva Vittorio Gasmann interpretando Fausto Consolo, nel film del 1974 di Dino Risi “Profumo di donna”: “Il sesso, le cosce, due belle chiappe: ecco la sola religione, la sola idea politica, la vera patria dell’uomo“. Una lezione che evidentemente è arrivata anche negli uffici creativi del marketing nordamericano. Evviva la ragazza con i jeans, allora. Non perché “inclusiva”, “progressista” o “fluida”, ma perché è semplicemente esplosiva.
Sergio Filacchioni