Home » Trump concede la ribalta a Putin, ma in Alaska nulla di fatto

Trump concede la ribalta a Putin, ma in Alaska nulla di fatto

by Sergio Filacchioni
0 commento
Trump Putin Alaska

Roma, 16 ago – Tre ore di colloquio, sorrisi e strette di mano. Il primo incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, svoltosi ad Anchorage, in Alaska, ha consegnato un’immagine netta: Mosca è uscita dall’isolamento. Ma al di là delle dichiarazioni di facciata sulla necessità di “trovare la pace”, nessun passo concreto è stato compiuto verso un cessate il fuoco in Ucraina. La vera vittoria (o almeno così sarà rilanciata dalla Russia) è stata quella di un Putin ricevuto con tutti gli onori dal presidente americano, trattato da amico nonostante il mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale.

Trump porta Putin alla ribalta internazionale

Trump aveva presentato il vertice come occasione per avvicinare la fine della guerra, ma già il suo entourage aveva abbassato le aspettative parlando di “esercizio di ascolto”. Così è stato: nessuna road map, nessun negoziato concreto, nessun impegno formale. Putin ha parlato per quasi dieci minuti in conferenza stampa, Trump per pochi, limitandosi a constatare che “non c’è accordo finché non c’è un accordo”. La stampa internazionale ha ovviamente rilanciato il “trionfo” russo: Le Figaro ha parlato di “ritorno spettacolare”, El País di un Putin “uscito dall’isolamento internazionale”. In questo quadro idilliaco, l’unico momento di frizione è arrivato dai giornalisti presenti. Un reporter ha chiesto a Putin delle vittime civili causate dagli attacchi russi in Ucraina: “President Putin, will you stop killing civilians?“. Il leader del Cremlino si è mostrato visibilmente contrariato, liquidando la questione senza concessioni. L’episodio ha mostrato i limiti della retorica diplomatica: mentre in Alaska si parla di dialogo costruttivo, in Ucraina la popolazione civile continua a subire bombardamenti quotidiani.

La guerra però è sul suolo ucraino

La domanda del giornalista, per quanto provocatoria, ci ricorda che la guerra non si combatte certo sul suolo americano, e che nessuna vera pace può essere decisa senza l’Ucraina e l’Europa. I numeri raccontano un’escalation senza precedenti. Nelle ultime settimane la Russia ha intensificato gli attacchi con droni sulle città ucraine, concentrandoli su pochi obiettivi per saturare le difese aeree. Solo nella notte tra l’8 e il 9 luglio sono stati lanciati 728 droni e 13 missili, il raid più massiccio dall’inizio della guerra. Dal 2023 a oggi, secondo il Centre for Information Resilience, Mosca ha lanciato circa 34.500 droni, di cui oltre 20mila solo nel 2025. A giugno sono stati 5.429, nei primi dieci giorni di luglio più di 2mila. Cifre rese possibili dalla produzione autonoma resa operativa nel 2023, dopo l’accordo con l’Iran da 1,75 miliardi di dollari per la licenza dei droni Shahed. Nel centro di Alabuga, in Tatarstan, la Russia produce oggi fino a 5mila droni al mese. Questi droni non sono più gli Shahed originari: ora hanno un raggio d’azione di 2.500 chilometri, volano a oltre 1.500 metri, sono più silenziosi e trasportano fino a 90 chili di esplosivo. Vengono impiegati in massa, con metà di essi usati come esche per confondere i radar. La saturazione delle difese ucraine provoca inevitabilmente falle: anche se Kyiv abbatte decine di droni a notte, alcuni colpiscono i bersagli. Secondo l’ONU, giugno è stato il mese più letale per i civili dal 2022: 232 morti e oltre 1.300 feriti.

Dall’Alaska nulla di fatto

In definitiva, l’Alaska non ha segnato né una svolta diplomatica né un reale avvicinamento alla pace. Ha però rimesso in circolo Putin come interlocutore legittimo, in un gioco che sembra più rivolto a rafforzare retrovie e apparati che a costruire soluzioni. Trump ha scelto la via più facile, quella dell’abbraccio tra potenze abituate a spartirsi lo spazio geopolitico da oltre un secolo, ma lo ha fatto con uno sguardo corto, senza considerare le interdipendenze economiche e strategiche che rendono oggi molto più complesso l’equilibrio globale. Se Trump voleva usare l’incontro per indebolire la Cina e tenere l’Europa sotto il suo controllo, ha scelto il modo peggiore. Invece di isolare Putin, lo ha rimesso al centro della scena. Così ha fatto un favore a Mosca e ha dato all’Europa un motivo in più per diffidare di Washington. Il che ovviamente non è per forza un male. In pratica: Trump ha cercato di fare una mossa furba, ma rischia di essersi tirato addosso un boomerang.

Sergio Filacchioni

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati