Roma, 9 ago – Ferragosto in Alaska. No, non è il titolo di una nuova commedia, anche se potrebbe sembrare un film già visto. Infatti proprio il 15 agosto Donald Trump e Vladimir Putin si incontreranno in Alaska, nel primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato alla Casa Bianca.
Trump-Putin e il Ferragosto in Alaska
La scelta della sede, annunciata dallo stesso presidente americano, ha un significato che va oltre la logistica: l’Alaska, acquistata dagli Stati Uniti dalla Russia nel 1867, è il punto di minima distanza tra i due Paesi, separati soltanto dallo Stretto di Bering, e rappresenta un terreno neutro ma carico di memoria storica. Dalla Casa Bianca trapela che la pianificazione del vertice è ancora in corso e che resta aperta l’ipotesi di un coinvolgimento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, forse in una sessione successiva. Trump, pur ribadendo ufficialmente il sostegno all’integrità territoriale ucraina, ha dichiarato di voler cominciare il dialogo con la Russia per valutare se esistano margini concreti per un cessate il fuoco.
Una data simbolica ma indicativa
L’ultima volta che Putin ha visitato gli Stati Uniti risale al 2015. Durante il primo mandato di Trump, i due leader si sono incontrati in sei occasioni, sempre all’interno di un rapporto caratterizzato da rivalità dichiarata e contatti diretti. L’8 agosto, data scelta per annunciare ufficialmente il vertice ferragostano, è una data non è priva di suggestioni storiche: cade infatti nell’ottantesimo anniversario della dichiarazione di guerra sovietica al Giappone, un intervento che nel 1945 consentì a Mosca di riposizionarsi strategicamente sul fronte asiatico quando la resa nipponica era ormai vicina, proprio nel giorni di mezzo tra il bombardamento atomico di Hiroshima e quello di Nagasaki. Ma suggestioni a parte, la posta in gioco è ancora una volta l’Europa e il suo destino.
Usa e Russia ancora al tavolo insieme
Washington mira a verificare se sia possibile ridurre la pressione militare e finanziaria sul fronte ucraino senza compromettere la propria posizione strategica, mentre Mosca punta a ottenere legittimazioni territoriali e a iniziare un percorso verso l’alleggerimento delle sanzioni. Kyiv, dal canto suo, si muove per evitare che eventuali decisioni vengano prese sopra la sua testa e insiste sul principio della piena sovranità, sostenuta formalmente dall’Unione Europea. Infatti, parallelamente Londra ospiterà un incontro preparatorio tra Stati Uniti, Unione Europea, Ucraina e diversi Paesi europei chiave, con l’obiettivo di definire una linea comune prima del faccia a faccia in Alaska.
Si tenterà una forzatura del fronte?
Dietro la facciata diplomatica – ma qui entriamo nel campo delle ipotesi – non è escluso che si tenti di creare sul campo le condizioni per un successo militare russo prima di un vero trilaterale, magari forzando uno sfondamento in un settore del fronte. Un’operazione del genere, tuttavia, difficilmente funzionerebbe senza una crisi interna alle forze ucraine, ipotesi che richiederebbe la “neutralizzazione” — politica o materiale — di qualche comandante chiave. Verosimilmente, se Mosca non riuscisse a ottenere risultati tangibili entro novembre, sarebbe costretta a trattare su basi meno vantaggiose di quelle attualmente proclamate da Putin. In questo quadro, l’incontro in Alaska appare come il più esplicito tentativo di offrire a Mosca un salvagente diplomatico, con il linguaggio e la retorica necessari a farlo sembrare un passo verso la pace.
Trump-Putin, oltre la retorica
Risulta senz’altro “beffardo” il fatto che la Russia abbia scartato Roma come possibile sede dell’incontro, definendo l’Italia “troppo antirussa”, e che quindi abbia preferito il territorio dell’”arcinemico” statunitense. Il che dovrebbe essere indicativo per chi in questi anni ha coltivato l’idea di una contrapposizione netta tra visioni del mondo inconciliabili, non considerando che la posizione russa (al massimo) era contro Biden e non contro gli USA. In effetti, nonostante la retorica ufficiale, Mosca e Washington continuano a mantenere la capacità di parlarsi direttamente e di impostare negoziati senza la mediazione europea, lasciando ancora una volta il nostro Continente a osservare da margini un processo che riguarda in primo luogo il suo territorio, e in secondo il suo equilibrio geopolitico.
Sergio Filacchioni