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“Un buco di 20mila morti che la Protezione civile non ha conteggiato”. Lo studio Inps sui decessi

by Cristina Gauri
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Roma, 21 mag – I conti dei decessi di covid, come per altro sembrava già intuirsi da tempo, non tornano. Tra i mesi di marzo e aprile in Italia è stato rilevato un aumento dei morti di gran lunga superiore ai calcoli – tenuto conto anche dei dati relativi alle vittime del coronavirus forniti dalla Protezione civile. Oltre ai morti per Covid (27mila) è stato registrato un aumento anomalo di poco meno di 20mila morti, sul quale l’Inps ha tentato di fare chiarezza analizzando statisticamente la mortalità nel periodo di picco massimo dell’epidemia. Lo riporta AdnKronos.

«La quantificazione dei decessi per coronavirus, condotta utilizzando il numero di pazienti deceduti positivi fornito su base giornaliera dal dipartimento della Protezione Civile, è considerata poco attendibile – si spiega nel report – in quanto influenzata non solo dalla modalità di classificazione della causa di morte, ma anche dall’esecuzione di un test di positività al virus». Inoltre, «anche il luogo in cui avviene il decesso è rilevante poiché, mentre è molto probabile che il test venga effettuato in ambito ospedaliero, è molto difficile che questo venga effettuato se il decesso avviene in casa».

Insomma, i numeri della Protezione civile fotografano solo parzialmente il quadro dei decessi per Covid-19: «Il periodo dal 1° gennaio al 28 febbraio 2020 registra un numero di decessi inferiore di 10.148 rispetto ai 124.662 attesi dalla baseline», mentre «Il periodo dal 1° marzo al 30 aprile 2020 registra un aumento di 46.909 decessi rispetto ai 109.520 attesi». Al contempo, «Il numero di morti dichiarate come Covid-19 nello stesso periodo è stato di 27.938». La domanda a questo punto sorge spontanea: «quali sono i motivi di un ulteriore aumento di decessi pari a 18.971, di cui 18.412 tutti al Nord? Tenuto conto che il numero di decessi è piuttosto stabile nel tempo, con le dovute cautele, possiamo attribuire una gran parte dei maggiori decessi avvenuti negli ultimi due mesi, rispetto a quelli della baseline riferita allo stesso periodo, all’epidemia in atto».

E pensare che il 2020, tra gennaio e febbraio, si avviava ad essere un anno con una mortalità inferiore alla media stagionale: «-8% in media, -7% per gli uomini e -9% per le donne, di cui -9% al Nord, -9% al Centro e -7% al Sud».  Quanto alle classi d’età, riporta sempre lo studio, «la diminuzione più forte si era registrata fra 0 e 49 anni (-13%), poi 60-69 anni (-12%), 70-79 anni (-10%), 80-89 anni (-9%), 50-59 anni e da 90 anni in su (-4%)».

Fino al periodo epidemico, dove si registra un’inversione del +43% che, scendendo nel particolare, flagella il Nord Italia dove si ha quasi un raddoppio del numero dei morti giornalieri pari al +84% contro il +11% del Centro e il +5% del Sud. «L’andamento dei decessi, nel periodo considerato, è stato condizionato sia dall’epidemia che dalle conseguenze del lockdown – puntualizza l’Inps – sia in negativo, ad esempio per le persone morte per altre malattie perché non sono riuscite a trovare un letto d’ospedale o perché non vi si sono recate per paura del contagio; sia in positivo, pensando alla riduzione delle vittime della strada o degli infortuni sul lavoro per lo smartworking e il blocco dell’Italia». Ad ogni modo, «per comprendere al meglio le vere conseguenze dell’epidemia si dovrà aspettare di debellare completamente il virus, il che avverrà presumibilmente tramite un vaccino o una terapia antivirale efficace».

Cristina Gauri

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