Roma, 7 ott – Il mito del progresso, derivato dalle sciagurate teorie figlie dell’Illuminismo, vedeva nel procedere del tempo la causa di un continuo miglioramento della condizione umana. La dottrina tradizionale delle quattro età al contrario parla di una lenta ed inesorabile decadenza legata allo svolgersi del ciclo cosmico. La Storia più recente dimostra la fondatezza della visione della Tradizione. Nell’epoca oscura del Kali Yuga o Età del Ferro, infatti, il progresso è solamente tecnologico. La tecnologia lontana dalla techné, dono degli dèi, oggi è forza profana. Avvelena lentamente la vita umana, sempre più povera di valori trascendenti.
La stagione del capitalismo terminale
L’instabilità e il movimento compulsivo del progressismo patologico provocano l’agitazione, l’ansia, la frenesia caratteristica dei tempi della dissoluzione. Il viaggiare forsennato dei contemporanei sradicati per guardare senza vedere, senza relazione con luogo di origine. Non si sa più dove si sta per scoprire dove si va, in fretta nei pochi momenti lasciati liberi dalla schiavitù del lavoro, dimenticando la vita per produrre ciò che serve a sopravvivere. I fanatici del progresso hanno scordato lo spazio personale, della stirpe, della famiglia e degli avi, che ha determinato la scomparsa del Genius loci, legame con la terra di padri.
Nella stagione del capitalismo terminale il tempo è denaro. Non più dimensione del sacro, scorrere ciclico dei giorni e delle stagioni, armonia tra l’uomo ed il cosmo. Il Principio di Piacere che possiede i progressisti spinge alla gratificazione immediata di ogni desiderio e pulsione, senza regole e disciplina. Tutto e subito senza sacrificio.
La scomparsa della diversità
La grande decadenza morale fatta di abbrutimento, di debolezza e falsità, è il prodotto del nichilismo dei tempi ultimi, travestito da inarrestabile progresso. L’individualismo che ha distrutto lo spirito di comunità genera il conformismo borghese, la spinta ineludibile all’accumulo scatena il più basso egoismo. La crisi del mondo moderno, schiavo del mito del progresso, è causata dall’abbattimento dei limiti. Tutto si uniforma e confonde, sprofondando nell’informe. Il limite identifica e conferisce la percezione dell’Io, separa dall’altro definendo la persona, come i muri dividono lo spazio facendolo conoscere agli uomini. Eliminare i limiti genera la confusione caratteristica del progresso caotico.
I bimbi con la sabbia edificano castelli non grattacieli e supermercati. Archetipi presenti nell’inconscio collettivo, simboli eterni fatti di spessi muri, che proteggono e dividono. Senza i confini sparisce il radicamento, scaraventando gli esseri umani nel caos. Tutto somiglia all’altro, l’Egalité giacobina della Rivoluzione Francese, assente in natura, provoca la scomparsa della diversità.
La tecnologia profana e il mondo uniforme
Il pensiero progressista vuole un’unica moneta ed un’unica lingua, un’unica mentalità. Frutto avvelenato delle religioni rivelate che soffocarono la fantasia e la sensibilità dei politeismi. La pluralità di dèi, di riti e folklore rispettava il sentire profondo dei diversi popoli europei con le loro tradizioni: greco romana, celtica, norreno germanica. Nessuna considerava eretica l’altra e avrebbe mai preteso di essere l’unica e universale e soffocare nel sangue la libertà di onorare i propri dèi.
La società nutritiva dell’uomo ad una dimensione è l’unica della Storia basata sul profitto e sull’economia. La raccolta ossessiva di capitale vissuto come rimedio alla paura della morte. Un mondo uniforme senza limiti e confini. Senza popoli, abitato da esseri senza forma, dove tutto corre veloce, dove le radici sono recise e nell’agitazione si cerca un impossibile equilibrio.
Il nichilismo è la negazione dell’essere, la morte dei valori, produce alienazione e sofferenza psichica, pervaso da Thanatos la pulsione di morte. Spinta verso l’autodistruzione, verso la morte, scatenamento dell’aggressività e della liberazione degli istinti più bassi. Odio e rabbia verso l’avversario politico, che diviene il nemico, nascondono la paura della coerenza e l’invidia del coraggio.
Roberto Giacomelli