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Kanye West esoterico: estetica sovrumana e provocazione mistica

by La Redazione
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Roma, 16 mag – In questi ultimi giorni l’abisso digitale è esploso. La causa? Kanye West, Ye come preferisce farsi chiamare, ha rilasciato un nuovo pezzo che rappresenta con molta probabilità una delle più grandi opere provocatorie degli ultimi decenni. Dai meandri degli algoritmi di X è emersa, dal nulla, “Nigga, Heil Hitler”. Una canzone che, già dal titolo, è tutta un programma. È inutile dire come l’indignazione e la censura siano scattati immediatamente su qualunque fronte possibile, nonostante il video musicale sulla piattaforma di Elon Musk avesse già raggiunto milioni di visualizzazioni. Ma l’obbiettivo di Ye è stato raggiunto. L’attacco diretto alla società contemporanea, tra follia e marketing, aveva già colpito nel profondo.

Un Nietzsche 2.0 dell’hip-hop

La figura di Kanye West ha subito negli ultimi anni una metamorfosi del tutto particolare. Ormai affermato come uno dei più grandi, oltre che più ricchi, rapper della storia, ha abbandonato il suo paese per andare sulla montagna come uno Zarathustra moderno. Ora, proprio come il personaggio di una delle più oscure opere di Nietzsche, ha deciso di tramontare tra gli uomini discendendo la montagna. Kanye ha intrapreso una lotta serrata contro i mostri della morale annunciando, a suo modo, che Dio è morto e che l’uomo è qualcosa che deve essere superato. La sua è una figura liminale insieme mediatica, messianica e simbolica che si muove tra le rovine dell’Occidente attraverso la sua volontà di potenza. Un esempio perfetto di nichilismo attivo che sovraccarica i simboli per distruggere la coltre di fumo che sovrasta il nostro tempo.

Non è un caso che in Kanye il limite tra genio e pazzia sia molto labile, così come non è un caso l’atmosfera sovrumana che ha voluto dare al suo personaggio. Un esempio, gli appellativi divini come Yeezus o Ye che, come da lui spiegato, non è altro che una delle parole più presenti all’interno della bibbia con il significato di “tu”: “È una riflessione del nostro buono, del nostro cattivo, della nostra confusione, di tutto”, dirà in un’intervista nel 2018.

Come Zarathustra, Ye si presenta come annunciatore del caos visto come mostro perché rivela il meccanismo del mondo che lo circonda. Tra autocelebrazione divina, sfida alla cancel culture e al pensiero woke, disprezzo delle regole borghesi, il suo è un ego come Superuomo pop dannato dal South Side di Chicago, incomprensibile ma necessario. Negli ultimi prodotti musicali si mostra lampante il rifiuto per la morale comune e la ricerca di una dimensione che vada oltre il bene e il male.

Provocazione come estetica del caos

Questa attitudine accompagna il rapper da anni, fin da quando nel 2020 annunciò ufficialmente di voler scendere in campo per le presidenziali americane del 2024 (cosa che fece già nel 2015). L’arte della provocazione è sempre stata nelle sue corde: dal sostegno a Trump, alla collaborazione con esponenti dell’Alt-Right passando per gli elogi ad Hitler e alla negazione dell’Olocausto e odio antisemita. Per non parlare poi delle famose magliette “White Lives Matter” o con croci uncinate in vendita sul suo sito e le ferme condanne verso l’aborto, la propaganda Woke e le teorie femministe.

La verità o meno di queste sue esternazioni non è importante. Non è importante se si tratta della solita boria a stelle e strisce o della consapevolezza di un genio. Quello che importa davvero è come uno dei più influenti artisti della storia incarni un’estetica della dissacrazione come rito di potere capace di evocare forze profonde e razionali. Come per il caso di “Nigga, Heil Hitler”, l’obbiettivo è rompere la morale dominante con un simbolismo shock ultra-violento e con l’idea di sacralizzare il più grande tabù del nostro tempo.

La fascinazione fortemente iconoclasta per simbologie religiose e occulte come croci, apocalissi, martirio e salvezza si collega ad un misticismo oscuro che sconvolge il mondo benpensante dello star system americano famoso per il suo politicamente corretto in salsa liberal. Ye trae linfa e potere proprio cavalcando questo caos dal quale, però, si estromette ergendosi verticalmente a nuova aristocrazia. Non chiede liberazione, non si piega al vittimismo nero di alcuni artisti afroamericani ma diventa mito, affermazione totale. La sua è un’appropriazione mitica di ciò che è proibito.

Kanye West, pulp fascism o semplice marketing?

Quindi Kanye West è una figura tragica sovrumana, uno sciamano post-moderno scandaloso che utilizza l’arma del linguaggio blasfemo per ritagliarsi uno spazio sacro in un mondo profano o, invece, un grande genio del marketing o un business man dal grande fiuto per gli affari? Questa è una domanda che semplicemente non ha senso porsi. Nessuno crede di poter innalzare il “Gesù nero” a pensatore di riferimento di tutta un’area culturale e politica che, storicamente e ideologicamente, con lui ha poco o nulla in comune. Ye è l’archetipo dell’artista come apocalisse vivente, come simbolo del collasso di una cultura che non ha più nulla da dire. Non importa a cosa crede, ma cosa simboleggia: forza, rottura, visione. La sua parabola è una razzia estetica e artistica che saccheggia la Cattedrale del pensiero unico e sfida l’immobilismo della nostra epoca.

Renato Vanacore

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