Roma, 10 dic – A volte ritrovano, anche se si parla dell’ovvio che è talmente scontato che diventa pleonastico dirlo, ma se lo dici e dici persino che è inutile e necessario ribadirlo crei rabbia perché hai voluto sottolineare un concetto che non è necessario precisare. Non è un gioco di parole in cui non si capisce niente e nulla significa, ma ciò che è scaturito quando il Governo italiano ha presentato un emendamento alla manovra di bilancio sull’oro italiano. La riserva aurea di proprietà dello Stato in nome del popolo e la Banca d’Italia, istituzione indipendente ma che si muove nel perimetro delle banche europee, può disporne, però, se lo fa, l’Unione europea si incazza.
L’oro italiano contro la burocrazia di Bruxelles
L’Italia possiede la terza riserva aurea più grande del mondo, la quarta se includiamo anche il Fondo Monetario Internazionale, dopo quelle degli Usa e della Germania, la seconda in Europa. Tonnellate di oro, ben duemilacinquecentoquarantadue, talmente tante che, dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo dovuto dislocarlo in giro per il mondo: il 5,76% pari a 141,2 tonnellate lo abbiamo portato nel Regno Unito, il 6,09%, 159,3 tonnellate in Svizzera, il 43,29% negli Stati Uniti che ci hanno liberato di ben 1061 tonnellate e mezzo di oro e altre 1100 tonnellate lo abbiamo custodito nei caveaux di Palazzo Koch della Banca d’Italia.
Una sorta di equo-canone italoamericano. Tale dislocazione, si capisce, è per il nostro bene perché averlo a portata di mano potrebbe indurre ogni governo a utilizzarlo e questo non si deve fare. Con una grattatina ai lingotti, insomma, si potrebbero risolvere dei problemi di natura essenzialmente finanziaria, ma questo non s’ha da fare, dicono quelli che (non?) sono padroni a casa nostra perché destabilizzerebbe il mercato e la Nazione. Le riserve auree, infatti, servono per garantire la stabilità finanziaria di un paese in caso di crisi. È una sorta di salvadanaio a cui non puoi attingere ogni volta che vuoi. Forse, sarebbe meglio leggere non “devi” attingere ogni volta che vuoi, altrimenti questo potrebbe significare un’inclinazione della fiducia nei confronti di quella Nazione che utilizzerà, magari proprio le riserve auree, per pagare le pensioni, ammodernare le infrastrutture o semplicemente rifare le strade. Un chiaro segno di disperazione.
La verità vera, però, è che da quando l’Italia è entrata nel sistema euro, la Banca d’Italia, l’istituto che può disporre di queste riserve auree, è entrata in un sistema di banche internazionali, l’Italia, di conseguenza, ha perso la propria sovranità monetaria; in parole povere vuol dire che quell’oro italiano non serve più a garantire stabilità della lira italiana che non esiste più, bensì dell’euro, quindi, a tutto il sistema europeo.
Cosa farà adesso Giorgetti?
Noi italiani che siamo fanalini di coda per ogni singola cosa in Europa, dopo la Germania garantiamo la stabilità a tutto l’indotto di Bruxelles e in particolare agli stampatori di cartastraccia di Francoforte sul Meno. La Banca Centrale, la matrigna della nostra Banca d’Italia, per statuto non può finanziare direttamente i governi, conseguentemente Bankit che finanzierebbe direttamente il proprio governo commetterebbe un illecito.
I banchieri di Francoforte, dunque dopo il decreto Malan, hanno invitato il governo italiano a riconsiderare la proposta. Toccherà adesso al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti rendere “in oro” le finalità dell’attuale governo. Dalla Banca Centrale Europea, infatti, parlano proprio di finalità del governo italiano che non sono completamente chiare. Il problema più che economico sembra essere di linguaggio, di formule lessicali: in pratica a Francoforte non hanno saputo leggere oltre il burocratichese, poiché i trattati europei non parlano mai di “proprietà” delle riserve auree bensì di chi di queste “dispone” e la formula scelta dal nostro governo, in nome del popolo italiano, sembra proprio significare che vogliamo disporne noi. Riuscirà il ministro Giorgetti, il più europeista degli italiani, a rendere universali le previsioni della lingua di Dante persino per i sordi che non vogliono sentire di Bruxelles?
Tony Fabrizio