
Michel Eltchaninoff, l’autore del saggio Dans la tête de Vladimir Poutine, appena uscito in Francia, ha rilasciato un’intervista a Le Figaro in cui ha fatto il punto sulla linea putiniana circa il centenario. La Russia, in realtà, sta già procedendo con eventi, mostre e conferenze sulla ricorrenza storica. La volontà, tuttavia, sembra essere quella di restare in un ambito scientifico e di non politicizzare troppo l’anniversario. D’altra parte, il suo consenso si nutre pure della simpatia dei conservatori, dei simpatizzanti monarchici. E infatti il suo è un difficile equilibrismo che cerca di tenere insieme simboli di estrazione molto differente. Nel dicembre del 2016, Putin ha dichiarato: “Il centenario della rivoluzione è un’occasione per soffermarsi di nuovo sulle sue cause e la sua natura. La società russa ha bisogno di analisi oggettive oneste e profonde degli avvenimenti. È invece assolutamente intollerabile voler provocare divisioni, odio e condanne, o rendere il nostro rapporto col passato più difficile. Non bisogna speculare sulle tragedie”.
Putin stesso, del resto, è di formazione sovietica, ma non comunista. Ha appreso e applicato un metodo, una forma mentis, non un’ideologia. Tra Lenin e Stalin, preferisce di gran lunga il secondo a causa delle sfumature “nazionali” che a un certo punto volle dare al sovietismo. Nel gennaio 2016 ha persino criticato apertamente Lenin, dichiarando che costui aveva posto “una bomba nucleare alle fondamenta dell’Urss”. Si riferiva al dibattito tra Lenin e Stalin sulla possibilità o meno che le varie “repubbliche socialiste” potessero o meno lasciare la “federazione” qualora lo avessero desiderato. Insomma, il punto è sempre quello: l’unità della nazione e l’egemonia russa sullo spazio ex sovietico, le vere ossessioni di Putin. E per raggiungere questi obbiettivi, tutto fra brodo. Anche condire la minestra putiniana con un pizzico di Stalin.
Giorgio Nigra