Home » NOSTALGISMO SOVIETICO

NOSTALGISMO SOVIETICO

by Redazione
0 commento

Se c’è una cosa che il conflitto russo-ucraino ha provocato dalle nostre parti è stato il cortocircuito del sistema politico-mediatico.

Prima della guerra, infatti, Putin era il leader di riferimento della destra, difensore dei valori storici europei, baluardo contro il terrorismo islamico internazionale, mentre i moti di Piazza Maidan erano considerati una cospirazione europeista ai danni di un governo ucraino legittimo (filorusso); per la sinistra invece, sempre Putin era un dittatore fascista, nemico della democrazia e dell’Unione Europea.

Dopo tre anni di conflitto si può dire che i punti di vista si siano invertiti: a destra il leader russo è diventato un autocrate imperialista, amico dei dittatori di mezzo mondo e persecutore dei popoli liberi d’Europa, mentre l’Ucraina rappresenta un fulgido esempio di patriottismo ed eroismo (giustamente); per la sinistra ora Putin è diventato il nuovo Stalin, restauratore dei fasti perduti e degno avversario degli Stati Uniti e dell’Europa liberista guerrafondaia, alleati della malefica Ucraina popolata dai nuovi nazisti.

Ancora più stucchevole risulta la piega presa dalla totalità dei media italiani di sinistra, ormai capziosamente schierati con la Russia di Vlad. Dimostrazione evidente di questo atteggiamento si è avuta il 9 maggio scorso, anniversario della fine della Seconda guerra mondiale: mentre infatti a Mosca si svolgeva la parata militare commemorativa, i giornali e il web sono stati sommersi da articoli e commenti in cui si è ringraziata l’Unione Sovietica di averci liberato dal nazifascismo (senza minimamente citare Inglesi e Americani).

In un articolo del Fatto quotidiano Alessandro Barbero ha raggiunto l’apice parlando di “festa per l’Europa” e di vittoria sovietica contro i nazisti “in nome di tutta l’Umanità”. Per carità, vero, ma quando s’incomincia a leggere sui social che anche Berlino e la Germania sono state “liberate” grazie ai Russi beh…qualcosa inizia un po’ a stridere con la Storia.

Persino la Giornata della Memoria del 27 gennaio non è sfuggita a questa subdola opera di propaganda, infatti con l’ostilità attuale verso Israele, l’anniversario in cui si ricorda la Shoah è ormai diventato buono solo per ricordare che sono stati i Sovietici a “liberare” Auschwitz. Vero anche questo d’accordo, tanto che Mario Monicelli, a suo tempo, aveva criticato Benigni per la falsificazione storica nella scena finale de La vita è bella in cui un carrarmato americano, invece che sovietico, entrava nel campo di sterminio dove era ambientata la tragica vicenda.

Ora, a parte il fatto che nella pellicola Premio Oscar in realtà si trattava solo di un generico lager nazista, Auschwitz non fu il primo campo ad essere liberato dai Sovietici, bensì fu Majdanek nel luglio 1944; così come anche gli anglo-americani hanno avuto il merito di smantellare altri campi nazisti nell’aprile 1945, durante la loro avanzata (Buchenwald, Dachau, Mauthausen, Bergen-Belsen). Auschwitz è stato “solo” il più grande campo di sterminio e quello più rimasto impresso nella memoria collettiva.

Ma il punto non è questo, è l’uso del termine “liberato” che risulta improprio e fuorviante. I vari lager nazisti, a mano a mano che i Tedeschi si ritiravano, erano abbandonati e in parte distrutti, lasciando i deportati sopravvissuti alla mercé degli eventi; i campi di concentramento, quindi, non rappresentavano degli obiettivi strategici degli Alleati, erano semplicemente intercettati dalle truppe in avanzata nel territorio nemico, proprio come rappresentato dalla scena finale del film di Benigni (il carrarmato americano fa il suo ingresso nel campo di prigionia abbandonato la sera prima dai nazisti, mentre gli ebrei superstiti escono dalle loro baracche alla spicciolata).

Tornando al conflitto, forse i propagandisti di casa nostra dimenticano che la Seconda guerra mondiale scoppiò una volta che Hitler e Stalin decisero la spartizione della Polonia col famigerato Patto Molotov-Ribbentrop (che non pochi mal di pancia provocò ai comunisti italiani); a latere dell’accordo fu firmato anche un protocollo segreto con cui si sancivano le rispettive sfere d’influenza, come raccontato nel libro di Antonella Salomoni (il Mulino, 2022).

Ebbene oltre alla Polonia, con i territori dell’Ucraina e della Bielorussia occidentali, all’URSS sarebbero spettati anche gli Stati baltici e la Finlandia (che riuscì a respingere l’invasione sovietica nella cosiddetta “Guerra d’inverno” del 1940). Come ha spiegato Ernesto Galli della Loggia su corriere.it, la Russia di Stalin ereditava gli stessi problemi di geopolitica dell’imperialismo zarista ottocentesco, volendo espandersi verso i Balcani e trovare uno sbocco al Mediterraneo attraverso il Mar Nero.

Dunque il Patto Molotov-Ribbentrop non solo diede fuoco alle polveri della Seconda Guerra mondiale, ma servì alla Russia per confermarsi, accettando il conflitto, come potenza intercontinentale, imperiale oltre che multinazionale (già, perché nell’esercito sovietico non combattevano solo i Russi).

Lo scontro tra sovietici e nazisti sul fronte orientale viene raccontato dai vari “Barbero-boys” come un’eroica avanzata che, dalla resistenza di Stalingrado, arriva trionfalmente a Berlino per issare la bandiera rossa sul Reichstag. Ma fu davvero così?

Il grande giornalista Franco Bandini, in due suoi scritti riproposti recentemente da Storiainrete, ci ha spiegato a suo tempo che le cose ad Est andarono un po’ diversamente…

In primis bisogna ammettere che l’Operazione Barbarossa intrapresa da Hitler nel 1941 – anche questa commemorata proprio ieri da Putin – fu in realtà una contromossa per anticipare un attacco sovietico ormai imminente. Lo dimostra il fatto che le truppe tedesche riuscirono a penetrare profondamente in territorio nemico con una tale facilità che stupì gli stessi ufficiali nazisti, questo perché le forze sovietiche non erano schierate sulla difensiva ma, al contrario, erano dislocate in formazione d’attacco.

Inoltre dalla sconfitta tedesca di Stalingrado alla capitolazione di Berlino passarono la bellezza di ben ventisette mesi, durante i quali i sovietici subirono ripetute sconfitte, avanzando verso Occidente con molta difficoltà e costringendo Stalin a chiedere ripetutamente agli Alleati l’apertura di un secondo fronte in Europa per alleggerire la situazione dei suoi (ancora nell’inverno 1944-45 i tedeschi sconfiggevano i russi in quattro diverse battaglie).

Non è un caso, infatti, che dal 1943 – sbarco degli Anglo-americani in Sicilia – tutte le vittorie sovietiche seguirono i successi alleati ad ovest (sbarco in Normandia e Battaglia delle Ardenne), tanto che l’attacco a Berlino fu sferrato dall’Armata rossa soltanto quando gli Alleati furono sull’Elba. Inoltre per tutta la durata del conflitto, e anche prima, Stalin venne costantemente rifornito di aiuti militari.

Che dire poi di Berlino “liberata”…una totale falsità, dato che la capitale del Reich fu conquistata solo dopo un’accanita resistenza che provocò enormi perdite ai sovietici.

Da tutto ciò emerge un quadro tutt’altro che epico della vittoria di Stalin, il quale dallo scontro con Hitler ne uscì con le ossa talmente rotte da non essere in grado di dichiarare guerra al Giappone non prima che gli Americani avessero sganciato le loro bombe atomiche.

Per i “russi” fu un’ecatombe, risultato di una tecnica di combattimento basata più sul numero e sulla forza bruta che sulla strategia militare, tanto che Bandini l’ha definita una «catastrofe demografica», da cui l’URSS non si riprese mai del tutto.

Per concludere, è evidente che ci troviamo di fronte ad una propaganda che sta pericolosamente giustapponendo una storia mistificata (“l’eroica avanzata di Stalin verso Berlino”) con un’attualità deformata (“l’inarrestabile avanzata di Putin verso Kiev”); una propaganda che non lascia scampo nemmeno al dissidente Aleksandr Solzenicyn, la cui “utopia conservatrice” secondo il Manifesto «nuoce ancora». Peccato che quello che il Premio Nobel russo denunciò già nel 1974 era la diffusione in Occidente delle attuali idee progressiste, cioè delle idee filosovietiche mascherate di bontà.

 

Gianluca Rizzi

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati