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Novità in libreria: Carmelo Bene, il superuomo del teatro italiano

by La Redazione
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Carmelo Bene superuomo del teatro

Roma, 9 sett – Recensire Carmelo Bene è impossibile. Al massimo si può balbettare il suo nome, evocarlo come un fantasma, accettando che ogni parola detta su di lui sia già un tradimento. Flavio De Marco, con il suo nuovo libro Carmelo Bene – Il Superuomo del Teatro Italiano (Passaggio al Bosco), osa il sacrilegio. Ma lo fa con la devozione dell’eretico: non racconta una biografia – che vita? – bensì tenta di seguire la scia incendiaria lasciata dal più inafferrabile genio del nostro teatro.

Un nuovo libro su Carmelo Bene

Non c’è cronaca, non c’è prurito borghese di date e aneddoti. C’è piuttosto il tentativo di assistere alla dissoluzione stessa dell’evento-Bene, di accostarsi alla sua rovina sublime. De Marco, armato di Nietzsche e Lacan, Derrida e Deleuze, maneggia la filosofia come Bene maneggiava Shakespeare o Manzoni: per distruggerli, succhiarne l’osso e sputarne la polvere. Non c’è reverenza, c’è complicità. Il Bene che emerge è attore e non-attore, filosofo e non-filosofo, macchina fonatoria che smonta il linguaggio mentre lo esaspera. La voce come macello del senso, la scena come vuoto, l’arte come controfigura dell’assenza. Non recitava: dis-faceva. Non rappresentava: sottraeva. E in quella sottrazione assoluta, senza scena, senza corpo, senza “Io”, si produceva l’eccesso, la vertigine dell’irrapresentabile. Il libro stesso si fa complice di questa sparizione. Da una parte la ricostruzione storica, dall’altra l’impossibilità di dire Bene senza diventare Bene. Ne viene fuori un paradosso: la macchina attoriale che si consuma, la voce che si separa dal corpo, la lingua che non significa ma rumina.

Bene e il sud come destino

Il Salento, per Carmelo, non è geografia ma destino: il “Sud del Sud dei Santi”, luogo d’origine e di esilio, radice e sradicamento insieme. È il ritorno all’assenza, la terra che genera folli e santi, da cui Bene si stacca per non essere trattenuto. Alla fine resta la diagnosi: Carmelo Bene come superuomo del teatro italiano. Ma non eroe titanico, non artista monumentale. Piuttosto colui che eccede se stesso e perfino le proprie opere, lasciando non monumenti ma macerie luminose, non testi ma residui. Un genio che non deve durare, perché la sua essenza è bruciare in un unico, irripetibile atto. “Vive una volta sola”, scrive De Marco. Così il lettore non capisce Carmelo Bene – impresa vana – ma ne viene trascinato nel gorgo, dove comprensione e incomprensione collassano insieme. Il merito del libro è proprio questo: non salvarci, non offrirci appigli, ma lasciarci in mare aperto, là dove Carmelo ci aveva già gettati. Un libro che non illumina: brucia.

Vincenzo Candido Renna

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