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“Difesa fai da te”: qualche riflessione in merito

by Tony Fabrizio
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Roma, 28 giu – Difesa fai da te e dintorni. Il caso dell’imprenditore salernitano che ammazza un rapinatore straniero e ne ferisce altri due è solo il caso “n” di ciò che quotidianamente avviene nelle nostre città, ma il dilagare di questi fenomeni impone una riflessione un po’ più ampia e soprattutto che non sia di pancia.

Difese improvvisate e professionisti del crimine

Sull’onta dell’emotività, si fa fatica a non schierarsi dalla parte dell’imprenditore stavolta, del gioielliere o del benzinaio altre volte. Ma tralasciando il caso specifico, forse, potremmo – e magari dovremmo – andare dalla parte opposta a quella che in un primo momento siamo portati a difendere. In primis il confine di casa nostra. È sacro ed è giusto difenderlo, ideologicamente vale molto più del monile d’oro o della somma di denaro a cui questa gentaglia punta.

Ma il cittadino armato è pur sempre una persona che improvvisa una difesa contro un professionista del crimine che, introducendosi in casa nostra, appunto, per delinquere, possiede già un grado di violenza maggiore rispetto a chi è costretto a difendersi. Il malcapitato che si difende, poi, rischia di essere vittima di sé stesso due volte. Nella prima ipotesi, se tutto va bene, rischia di diventare un assassino con tutto ciò che ne consegue in termini penali e di coscienza; nel secondo caso, il peggiore, il cittadino viene addirittura assassinato.

Difesa fai da te: il fattore culturale

La libera vendita delle armi su modello degli “Stati Armati d’America” per dirla con Buttafuoco, e su cui omettiamo volutamente i dati che parlano chiaro, è doppiamente lesivo perché un cittadino in possesso di un’arma prima o poi la userà (spesso male, anche per via delle leggi che tendono, comunque, a privilegiare la vita umana sopra ogni cosa). Poi, ma non meno importante, c’è anche il fattore culturale con cui fare i conti.

Il nostro modello, quello a cui tendere, non è quello dello sceriffo di qualche polverosa contea lontana dalla civiltà. Piuttosto è il mondo giapponese, quello dei samurai che hanno una grande tradizione guerriera e, tuttavia, è il popolo meno armato del mondo. Il Samurai è molto più vicino a Toro Seduto che allo sceriffo di Hazard; all’orizzonte ci deve essere l’Imperium e non il Dominium.

Con questo americanismo esagerato non c’è più mediazione, tutto è veloce e tutto terribilmente piatto e uguale per tutti. Persino le vite. Non esiste più un codice cavalleresco, il nemico non viene più umiliato con la sconfitta e “onorato”, ma diviene insignificante e distrutto, finendo, inevitabilmente, per distruggere pure noi stessi vittoriosi. Non c’è più l’Iliade, ma solo tanto, indiscriminato Far West.

Il ruolo dello Stato

A tutto questo ci si è arrivati perché fondamentalmente si è distrutto il concetto culturale e intellettuale dello Stato. La presenza dello Stato è una tradizione tutta italiana e già ben rodata. Il controllo del territorio da parte dello Stato è fondamentale. Laddove lo Stato rinuncia alla propria presenza, questa viene sopperita dall’anti-stato. Che assume il nome di mafia, camorra, ndrangheta a seconda della latitudine geografica dove questa finisce inevitabilmente per operare.

Se un ladro conosce il momento migliore per introdursi nelle case delle persone, non può non saperlo lo Stato che deve avere queste conoscenze e queste competenze. Le prediche dell'”Armatevi e partite”, la scusa secondo cui “Lo stato non ci difende”, la figura dell’homo novus con la pistola sono genialate defecate solo per lo share del programma televisivo in prima serata, per le chiacchiere al Bar Sport e per le beghe da bottega.

Buone nemmeno per una demagogia elettorale spacciata sempre più per arte politica perché offenderebbe l’intelligenza e l’idea delle persone che dovrebbero essere superiori. Per idea, cultura e volere. È sacrosanto diritto dello Stato, quindi, difendere i propri cittadini ed è indiscutibile dovere del cittadino credere in esso. Lo dobbiamo pretendere. Sul cornicione della Prefettura di Lecce è scolpito – e ancora resiste – la “via” attraverso cui tutto questo è possibile: “Tutto nello Stato, nulla al di fuori dello Stato, nessuno contro lo Stato“. Siamo (ancora) l’Italia: ripartiamo da qui!

Tony Fabrizio

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