
“Le politiche per il turismo – ha detto – andrebbero pensate in modo integrato con le altre politiche rivolte all’accoglienza degli stranieri che vengono da noi per ragioni di lavoro, di studio, di cura o semplicemente alla ricerca di pace, di diritti e di sicurezza. Non possiamo, senza una insopportabile contraddizione, offrire servizi di lusso ai turisti affluenti e poi trattare in modo, a volte, inaccettabile i migranti che giungono in Italia dalle parti meno fortunate del mondo, spesso in condizioni disperate”.
Avete capito bene? Immigrazione e turismo di lusso messi sullo stesso piano. Ma cosa c’entra? La Boldrini non riesce davvero a capire che noi non “offriamo” servizi di lusso a nessuno ma che i turisti li hanno solo perché pagano per averli? Che una dinamica prettamente commerciale e una complessa questione politica, sociale, economica, etnica, culturale come quella immigratoria non hanno davvero nulla a che fare tra loro? Sarebbe come paragonare il servizio delle mense per i poveri con i ristoranti dell’alta cucina. Ovviamente si può sempre contestare il lusso in quanto tale, talora anche con qualche ragione, ma che c’entrano in tutto ciò i “migranti”?
Del resto la confusione tra i differenti piani è una caratteristica tipica della Boldrini, come dimostra anche un altro passaggio del discorso in questione:
“Penso, in conclusione, che potremo imprimere un vero salto di qualità alle nostre politiche per il turismo solo se riusciremo a considerare sempre di più il turista non solo come uno straniero di passaggio e una potenziale fonte di guadagno, ma come un cittadino ‘temporaneo’ al quale garantire servizi e diritti paragonabili a quelli di tutti gli altri cittadini”.
Turisti come cittadini. Una visione aberrante che vorrebbe essere “buona” e tollerante ma che invece si rovescia naturalmente nel suo opposto: se si considera un turista come un cittadino sarà inevitabile considerare il cittadino come un turista. Cioè un individuo sradicato, apolide, a cui nel migliore dei casi fornire dei “servizi”, ma da considerare inevitabilmente come una persona di passaggio, intercambiabile, senza radici.
Giuliano Lebelli
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