
Nel fine settimana è stato rapito il capo di gabinetto del presidente yemenita e alcune persone hanno aperto il fuoco contro l’auto del premier Khaled Bahah al termine di un incontro tra il rappresentante degli sciiti Saleh al-Samad e il presidente Hadi. Fonti governative hanno parlato di un vero e proprio agguato finalizzato ad uccidere il primo ministro.
E’ certo però che lo Yemen, da tempo praticamente privo di un vero e proprio esercito, in questo momento è al centro di un gioco di potere che va oltre i confini nazionali. Lo stesso giorno dell’attentato a Charlie Hebdo, rivendicato poi dalla centrale yemenita di al Qaeda, un kamikaze a bordo di un minibus carico di esplosivo si è fatto saltare in aria vicino ad una stazione di polizia a Sana’a’, provocando 40 morti e altrettanti feriti. Il deposto, nel 2012, presidente Saleh parlava della sua nazione come di un arsenale a cielo aperto: “23 milioni di abitanti e 23 milioni di fucili, questo è lo Yemen”. Eppure lo stesso ex presidente si è più volte servito di fondamentalisti islamici sunniti per reprimere le rivolte sciite Houti.
Adesso lo Yemen, continua meta di turismo nonostante i ripetuti rapimenti, può subire un cambiamento radicale. Se in meglio non è dato saperlo, di certo però non lascerà indifferenti i principali attori del mondo arabo, in particolare la confinante Arabia Saudita.
Eugenio Palazzini