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Carlo Ancelotti e la Seleçao: la grande eresia per tornare all’origine

by Marco Battistini
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Roma, 1 giu – La notizia era nell’aria da tempo, l’ufficialità è arrivata solamente un paio di settimane fa: Carlo Ancelotti, uno dei migliori tecnici della storia del calcio, sicuramente il più vincente dell’epoca moderna, è il nuovo commissario tecnico del Brasile

Una nazionale in crisi d’identità

L’interesse della Seleçao nei confronti di Carlo Ancelotti è un qualcosa di lunga data. Le voci si sono rincorse sovente nel passato: evidentemente, il matrimonio tra i pentacampioni del mondo e il collezionista di primati (almeno un titolo nei cinque campionati più importanti d’Europa, sei finali di Champions League vissute dalla panchina con una sola sconfitta) andava fatto. Le eccellenze d’altronde, tendono sempre ad incontrarsi. E il Brasile rimane sempre la realtà con la più grande comunità di oriundi italiani del mondo – quasi trenta milioni, pari al 13% della popolazione. Eppure non tutto è così scontato come potrebbe sembrare alla prima superficiale lettura.

Sì, perché quella verdeoro è una nazionale in crisi d’identità. E non certo da oggi: sono lontani i tempi del futbol bailado o dello joga bonito, i verdeoro si sono fermati al 2002. A Yokohama la doppietta di Ronaldo (il Fenomeno) stendeva la Germania e da lì quasi solamente delusioni, con il punto più basso toccato nel luglio 2014, ovvero quando a Belo Horizonte gli stessi teutonici polverizzano David Luiz e soci in quel 1-7 passato alla storia come Mineiraço.

Ritorno alle origini

Partiamo da un presupposto. Metafora migliorata della vita, specchio sportivo dei popoli non può esistere un solo modo di interpretare il giuoco del pallone. Anche nel rettangolo verde il cosmopolitismo rimane una fregatura: storicamente il Brasile ha fondato ogni sua fortuna sulla libera espressione del genio individuale, come l’Italia l’ha fatto sull’organizzazione difensiva. Così se a livello ideologico il posizionismo dei successi spagnoli, al di fuori delle penisola iberica, ha fatto in Europa più danni della grandine, nel contesto brasiliano si è reificato alla stregua di una piaga calcistica.

L’Argentina ha vinto i mondiali in Qatar ritornando alla Nuestra (per la Seleccion ben più di uno stile di gioco) di menottiana memoria, il Brasile proverà a farsi di nuovo grande rimettendo al centro la propria cultura calcistica

Lontano anni luce dai profeti del pallone moderno, Carlo Ancelotti non propone il-suo-calcio, ma un pragmatismo tanto camaleontico quanto vincente. Svestiti ben presto i panni del sacchiano di ferro – a Parma rifiutò Roberto Baggio e irrigidì Gianfranco Zola sull’esterno di destra – durante la gestione juventina esplose tutto il talento di Zinedine Zidane. Al Milan fece convivere i tanti numeri dieci messi a disposizione da Silvio Berlusconi, lascia oggi il Real Madrid come l’allenatore con il maggior numero di titoli nella storia dei blancos

Carlo Ancelotti: la Seleçao si affida a un italiano

Da Kakà a Vinicius Junior il tecnico emiliano ha sempre saputo esaltare il talento cristallino delle promesse brasiliane. Una scelta, per quanto ponderata, che si configura come la grande eresia del pallone verdeoro: mai un europeo si era seduto su quella panchina, per trovare l’unico straniero (l’uruguaiano Ramón Platero) dobbiamo risalire agli anni venti del secolo scorso. 

Maestro tra i maestri, Carlo Ancelotti è in buona compagnia: la scuola tecnica italiana, a differenza dell’attuale generazione di calcianti, sembra non conoscere crisi.

Marco Battistini

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