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Femminicidio, il figlio sano del… liberalismo

by Enrico Colonna
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Roma, 2 giu – L’ennesimo caso di femminicidio ha dato occasione agli strilloni di ogni colore politico per speculare su un fatto di per sé drammatico: una ragazzina di Afragola di quattordici anni uccisa a sassate in testa dall’ex-fidanzato diciannovenne.

Femministe e destra conservatrice

E il dolore collettivo è perfettamente legittimo dopo un fatto del genere, sia chiaro. Ma, come al solito, in questo paese ormai siamo diventati specialisti nel guardare il dito e non la Luna. Il legittimo dolore collettivo viene puntualmente incanalato in maniera del tutto distorta.

Infatti, come era del resto prevedibile, da un lato le femministe – che rimangono rigorosamente in silenzio quando l’autore della violenza è un diversamente europeo – hanno subito colto la palla al balzo per sbraitare contro un non meglio definito patriarcato a suon di “uomo morto non stupra”, sfruttando così il tragico fatto unicamente per tirare acqua al proprio mulino e mancando quindi di rispetto in primis alla vittima. E dall’altro si invocano misure draconiane, come è nello stile della destra conservatrice.

Domande (e risposte) sbagliate sul femminicidio

Ma in tutto questo siamo riusciti nel miracolo, ancora una volta, di porci sempre le domande sbagliate. Dandoci le risposte sbagliate, per giunta. Nessuno, infatti, si chiede mai da dove vengano fuori questo tipo di fenomeni. E quando ce lo chiediamo abbiamo le risposte che ormai diamo per scontate: il “patriarcato” (quale?), la “mascolinità” (ma dove?) e via discorrendo.

A ben vedere, ragionandoci un po’ più a fondo, una possibile risposta a questa domanda potremmo trovarla in una forma mentis che tutto è tranne che foriera di “patriarcato” e “mascolinità”. L’origine di tale fenomeno è da ricercare in primo luogo nella stessa società liberale che – almeno in teoria – si propone come antidoto a questo genere di sopraffazione.
Se anziché ragionare in maniera superficiale e bipolare – in tutti i sensi – cercassimo davvero di comprendere la radice di questo fenomeno, vedremmo come alla base del femminicidio c’è lo stesso schema mentale dell’homo oeconomicus di matrice liberale.

Femminicidio e liberalismo

Il punto cruciale di questa trasposizione di significato è infatti il trasferimento del “mito del successo”, creatosi oltreoceano e giunto di riflesso sino a noi, dal piano economico e lavorativo al piano sociale e sentimentale. I vari Turetta, Tucci e via dicendo, non sono figli di un non meglio definito “patriarcato”, ma di una sorta di “sindrome del manager fallito”. Sono la perfetta riproposizione, sul piano sentimentale, dell’impiegato che si sente un fallito per non aver raggiunto il traguardo che l’azienda si aspettava da lui e che quindi intraprende azioni violente contro i propri ex-colleghi.

Il “mito del successo” di stampo economicistico e liberale ha creato intere generazioni di ragazzini frustrati che sognavano – accanto alla bella macchina e all’attico – la donna della propria vita, ma non come completamento sentimentale ed umano, bensì come simbolo del proprio successo personale, come “trofeo”. E, esattamente come l’homo oeconomicus impazzisce quando non riesce ad ottenere il successo sperato in ambito lavorativo – e, nella società dominata dal liberal-capitalismo, se non hai successo non sei nessuno – allo stesso modo il “maschio” debole e frustrato sfoga la propria insicurezza repressa su una persona fisicamente più debole.

No, questo non è patriarcato

Ma questo non è patriarcato, questo è liberalismo al quadrato. Un liberalismo ed un economicismo che annoverano tra i loro “figli sani”, per parafrasare uno slogan trito e ritrito delle femministe odierne, anche il problema – drammatico – dei femminicidi. “Ma quale patriarcato? Questo è il vostro uomo rieducato” recitavano dei manifesti affissi da CasaPound in tutta Italia a seguito dell’efferata uccisione di Giulia Cecchettin.

Ed effettivamente le due cose vanno di pari passo: se si somma la mentalità liberal-capitalista appena descritta – che vede la donna come simbolo del proprio successo, al pari di un’automobile – ad un più generale e progressivo processo di criminalizzazione di tutto ciò che è sinonimo di virilità, il danno è fatto. Quel che un’intera società si rifiuta di capire (oppure fa orecchie da mercante) è che i vari Turetta e Tucci non sono “figli del patriarcato”. Anzi, se davvero fossimo ancora in una società cosiddetta “patriarcale”, sarebbero i primi a venir coperti di sputo e di vergogna collettiva dagli Uomini degni di questo nome.

Enrico Colonna

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