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Tasse in Italia: quelle che non ti aspetti, che non conosci e le più bizzarre

by La Redazione
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In Italia, parlare di tasse è come mettere il dito in una ferita sempre aperta. È noto ormai da tempo che il nostro Paese figura tra quelli con la pressione fiscale più elevata d’Europa, e forse del mondo occidentale. Per ogni euro guadagnato, una parte significativa viene assorbita da una lunga lista di tributi che spesso appaiono non solo numerosi, ma anche contraddittori, complicati, e a tratti surreali.

Il cittadino medio si ritrova a dover navigare tra imposte sul reddito, addizionali comunali e regionali, IVA, IMU, TARI, accise sui carburanti, contributi previdenziali, bolli e canoni, mentre le imprese, in particolare le piccole e medie (le famose PMI), spesso arrancano sotto il peso di un sistema fiscale che non perdona. Si stima che una PMI italiana arrivi a pagare fino al doppio in tasse rispetto a un colosso del web che opera nel nostro Paese ma con sede fiscale all’estero. Questa sproporzione non solo penalizza chi produce valore sul territorio, ma rischia anche di disincentivare l’iniziativa imprenditoriale.

L’Italia è un Paese meraviglioso, ricco di storia, cultura, talento e creatività. Ma per liberare davvero il suo potenziale, servirebbe alleggerire il carico fiscale, semplificare i meccanismi di pagamento e, soprattutto, eliminare quelle tasse che oggi sembrano più figlie dell’assurdo che del buon senso amministrativo.

Le tasse più impopolari (e incomprensibili)

Tra tutte le imposte esistenti, ce ne sono alcune che riescono a far innervosire anche il cittadino più paziente. Un esempio eclatante è il bollo auto, un tributo regionale che molti considerano ormai superato, soprattutto per chi possiede un’auto che resta quasi sempre ferma. Non si paga in base all’effettivo utilizzo, ma solo al fatto di possederla, anche se magari inquina meno di altri mezzi più datati.

Un’altra tassa indigesta è il canone Rai, spesso percepito più come un’imposizione che come un contributo al servizio pubblico. C’è poi la cosiddetta “tassa sui morti”, un termine colloquiale che si riferisce ai costi burocratici legati al decesso di una persona, tra certificati, bolli e pratiche da sbrigare. In un momento già carico di dolore, lo Stato presenta comunque il conto.

E che dire delle tasse sulle vincite? Che si tratti di un torneo di poker, di un gratta e vinci o di una puntata fortunata al casinò, ogni euro vinto viene immediatamente tassato. L’emozione del colpo di fortuna, così, si spegne al momento della detrazione fiscale. Un’altra imposta dai contorni insoliti è la TOSAP, ovvero la tassa per l’occupazione del suolo pubblico. Fin qui nulla di strano, ma ciò che colpisce è che venga richiesta anche per una semplice sedia all’esterno di un bar o per l’insegna di un negozio.

E poi c’è la tassa sull’ombra. Sì, proprio così: in alcune città italiane, l’ombra proiettata da un’insegna o da un tendone sul suolo pubblico può essere soggetta a imposta. Una tra le più emblematiche assurdità burocratiche del nostro tempo. Ma l’elenco non finisce qui: raccogliere funghi nei boschi italiani può comportare il pagamento di un permesso, e c’è perfino una tassa sulle paludi, residuo di un tempo ormai scomparso, quando bonificare un’area paludosa era una questione cruciale di salute pubblica.

Un futuro (si spera) più equo

Non si tratta di essere contro le tasse, sia chiaro. Le imposte, quando giuste e ben distribuite, sono uno strumento fondamentale per finanziare la sanità, l’istruzione, la sicurezza, le infrastrutture. Ma quando il sistema fiscale diventa opprimente, confuso o addirittura ridicolo, qualcosa va rivisto. Le tasse bizzarre o anacronistiche non solo minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, ma alimentano anche l’evasione e la disillusione.

C’è un’Italia che vuole lavorare, creare, innovare. Un’Italia fatta di famiglie che si rimboccano le maniche, di giovani con idee brillanti, di artigiani, commercianti, imprenditori che ogni giorno combattono con mille difficoltà. A loro serve un sistema che li sostenga, non che li ostacoli. Sognare un fisco più giusto non è utopia, è una necessità. Serve coraggio politico, visione strategica e una buona dose di buon senso. Serve semplificazione, digitalizzazione e, soprattutto, l’eliminazione di quelle imposte che ormai non hanno più ragione di esistere. Solo così l’Italia potrà tornare a crescere con fiducia, restituendo dignità ai suoi contribuenti e liberando finalmente le energie migliori del Paese.

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