Roma, 16 lug – In un contesto sociale sempre più polarizzato, tornano al centro del dibattito temi come l’identità nazionale, l’immigrazione e il futuro demografico dell’Europa. CasaPound, attraverso un appello firmato da Luca Marsella, rilancia una proposta politica radicale: la “remigrazione”. Non si tratta solo di un programma elettorale, ma di una visione del mondo che interpreta le trasformazioni in atto come un vero e proprio collasso culturale e antropologico. Di fronte a questa lettura drammatica della realtà, il movimento si propone come baluardo di una battaglia esistenziale per la “riconquista” dell’Italia e dell’Europa. Riportiamo integralmente le parole di Marsella.
L’appello di Luca Marsella sulla remigrazione
Siamo arrivati al crocevia decisivo di un’epoca, a quel punto di non ritorno che distingue le civiltà capaci di reagire da quelle destinate all’oblio. Non è più questione di “immigrazione” o “integrazione”, parole ormai logore, vuote, ingannevoli, ma di pura, ineludibile sopravvivenza. Le nostre città non sono semplicemente in crisi: sono affondate in un degrado che non è solo urbanistico, ma ontologico. È il collasso dell’identità, l’erosione del tessuto culturale, la dissoluzione di ogni codice etico che ha retto per secoli la nostra civiltà. Quartieri interi sono stati abbandonati alla logica del disordine, saccheggiati, svuotati del senso di appartenenza. Le stazioni ferroviarie, un tempo simboli di movimento e progresso, sono divenute bivacchi permanenti. Le periferie si configurano ormai come zone franche dove vige una legalità parallela, imposta da gruppi di stranieri non solo di prima, ma anche di seconda generazione, che esercitano un potere brutale e ostentato, in aperta sfida all’autorità dello Stato. Da Milano a Roma, da Torino a Bologna, da Napoli a Palermo, da Firenze a Brescia: nessun angolo d’Italia è immune. Ogni città è uno specchio infranto che riflette la ferita aperta di una nazione spodestata della propria anima.
Chi conserva ancora lo sguardo disincantato del reale lo percepisce con chiarezza: è in atto un disegno, una manovra organica di sostituzione dei popoli europei. Non si tratta più di una provocazione polemica o di retorica: è un’evidenza storica, una diagnosi fredda e inoppugnabile. È una sostituzione voluta, calcolata, pianificata nei minimi dettagli: il rimescolamento coatto dei popoli, l’annichilimento delle radici, la soppressione dell’identità. Tutto ciò non è il frutto del caos, ma di una volontà politica, economica, ideologica. Nulla di ciò che stiamo vivendo è casuale. I governi fingono di voler contenere i flussi migratori, ma in realtà li facilitano, li incentivano, li organizzano. Perché ogni partito è schiavo: del consenso, dei sondaggi, dei like, di sé stesso e di un sistema marcio. Se non opponiamo adesso una barriera, se non innalziamo un argine politico, culturale, spirituale e se necessario anche fisico contro questa deriva antropologica, domani sarà già troppo tardi. La finestra della possibilità si sta chiudendo con rapidità vertiginosa. E chi oggi sceglie l’inerzia, la neutralità, la prudenza, sarà domani complice del crollo. È il tempo della riconquista. E la riconquista ha un nome preciso: remigrazione.
La remigrazione è il principio fondante di una rifondazione nazionale ed europea. Non è mossa dall’odio, né dalla vendetta, ma dalla necessità di ristabilire l’equilibrio violato. È giustizia, è verità, è coerenza con la nostra storia. È il ritorno a casa di chi non ha mai voluto realmente appartenere a questa terra. È la rimozione di tutto ciò che è strutturalmente incompatibile con il nostro spirito, con la nostra visione del mondo, con l’ordine. È l’inversione della rotta che ci ha condotti sull’orlo del disastro. Espulsione immediata dei clandestini. Blocco assoluto degli ingressi. Rimpatrio dei soggetti che hanno rifiutato di integrarsi. Ma non solo: è l’interruzione definitiva dell’industria dell’accoglienza, la paralisi di una macchina miliardaria che dietro la maschera della solidarietà, ha edificato un sistema clientelare e corrotto. Ogni anno l’Italia destina oltre 5 miliardi a una gestione fallimentare, inefficiente, parassitaria. Risorse che potrebbero e dovrebbero essere devolute al benessere dei nostri anziani, dei nostri giovani, dei nostri indigenti. Per ricostruire ciò che è stato devastato: la natalità, il senso di comunità, la dignità delle periferie, la speranza stessa del nostro popolo.
CasaPound sta ultimando una proposta politica organica, articolata, risoluta e perfettamente attuabile. Non un proclama propagandistico, non uno slogan emozionale, ma un testo ponderato, frutto di studio, esperienza e volontà intransigente. Sarà presentato pubblicamente in occasione della nostra festa nazionale a Grosseto, nel mese di settembre. Non resterà chiuso in un cassetto: sarà accessibile, condivisibile, mobilitante. Diventerà il fulcro della nostra battaglia politica nei mesi e negli anni a venire. Le leggi, contrariamente a ciò che molti pensano, non sono immutabili. Non sono dogmi scolpiti nella pietra. Le leggi le scrivono gli uomini, e gli uomini, se lo vogliono, possono riscriverle. Anche la Costituzione, che viene evocata come uno scudo per impedire ogni cambiamento, può essere modificata se sussiste il coraggio di farlo. I trattati europei? Sono convenzioni, non catene. Possono essere denunciati, rinegoziati, disattesi, superati. Nessun vincolo esterno può negare a un popolo consapevole il diritto fondamentale di decidere chi accogliere e chi espellere, come vivere, come difendersi. I mezzi giuridici esistono già. Ciò che manca, tragicamente, è la volontà politica di utilizzarli. Ciò che manca è il coraggio.
Il governo in carica, quello che aveva solennemente promesso “blocchi navali”, ha invece ratificato il Decreto Flussi. La stessa maggioranza che si diceva custode dell’identità nazionale, oggi discute, per bocca di Forza Italia, lo ius scholae, ovvero la concessione automatica, indiscriminata, di una cittadinanza non più fondata sul sangue o sul merito, ma sull’abitudine e la permanenza. Noi, al contrario, non abbiamo privilegi da difendere, carriere da blindare, interessi personali da salvaguardare. Possediamo una sola, inviolabile ricchezza: la libertà. Ed è in virtù di questa libertà che possiamo e dobbiamo dire ciò che va detto. Senza filtri. Senza padroni. Senza paura. Oggi ci rivolgiamo a tutti gli uomini liberi. A coloro che non hanno piegato il capo. A chi non ha tradito la propria dignità. A chi combatte, silenziosamente o apertamente. Questa è la battaglia decisiva.
La proposta che oggi annunciamo non è il prodotto estemporaneo di una strategia elettorale o che mira al consenso di un movimento. È l’approdo naturale di un cammino lungo, difficile, costellato di sacrifici, di piazze, di processi, di vite compromesse. A Bologna, a La Spezia, a Padova, a Verona, a Brescia e in tante altre città abbiamo levato la voce, ci siamo esposti, abbiamo denunciato l’invasione e il degrado. Non eravamo soli: accanto a noi c’erano realtà diverse, con storie e percorsi differenti, ma animate dallo stesso spirito di fondo. Ed è da quello spirito che bisogna partire. Abbiamo visto le nostre manifestazioni vietate da questure piegate alla logica dell’antifascismo istituzionale, ma abbiamo affermato un principio: siamo disposti a tutto. Perché chi incarna ciò che proclama di essere non cerca scorciatoie. Ora, però, si apre una nuova fase. Non più solo protesta, ma proposta. Non più mera opposizione, ma costruzione. Questa proposta non è “nostra” nel senso proprietario del termine. Non è un brevetto, né un marchio. È un appello. Una chiamata. Un imperativo etico. È rivolta a tutte le comunità militanti, ai movimenti, alle associazioni, ai singoli individui che in questi anni hanno lottato a difesa della nostra identità, della nostra storia. Ma anche a chi ha smesso di credere. A chi ha esitato. A chi pensa che non ci sia più tempo. A quelli che hanno dedicato un pezzo della loro vita, o tutta, a un qualcosa di più grande. A tutti loro diciamo: il tempo è adesso. Non ci sarà una seconda occasione.
Se la nostra voce riuscirà a penetrare le mura di quei palazzi imbalsamati dalla paura e dall’opportunismo, non possiamo saperlo. Ma ciò che sappiamo è che non possiamo più attendere. Il silenzio di chi siede in quelle aule sarà complicità. L’indecisione lo sarà. I calcoli saranno viltà. Bisogna scegliere, e bisogna farlo ora. O si è dalla parte della riconquista, o si è dalla parte della resa, o peggio del tradimento. Perché un giorno, quando tutto sarà compiuto e i nostri figli ci chiederanno dove fossimo mentre svendevano la nostra nazione, mentre laceravano il nostro popolo, mentre calpestavano la nostra storia, non basterà mostrargli il conto in banca. Noi, insieme a quelli che saranno con noi o a chi percorrerà altre strade che vanno nella stessa direzione partendo dagli stessi presupposti – perché anche se stiamo tracciando una rotta non abbiamo la presunzione di affermare che sia l’unica da intraprendere – potremo rispondere a testa alta che abbiamo combattuto. Che abbiamo fatto ciò che era giusto. Che non ci siamo voltati dall’altra parte. Anche se questo ha comportato e comporterà sempre un prezzo. Il prezzo di essere liberi.
La Redazione