Roma, 22 ago – L’Eurocamera ha deciso di impugnare davanti alla Corte di Giustizia il regolamento Safe (Security Action for Europe), strumento con cui l’Unione europea punta a finanziare fino a 150 miliardi di euro di prestiti per rafforzare l’industria bellica continentale. La contestazione, precisa il Parlamento, non riguarda i contenuti ma il metodo: la Commissione e il Consiglio hanno scelto come base giuridica l’articolo 122 del Trattato Ue, che consente procedure straordinarie in caso di emergenza. Una scorciatoia che, secondo la Commissione Affari Giuridici dell’Eurocamera (JURI), ha “estromesso il Parlamento dal processo decisionale, minando la legittimità democratica agli occhi dell’opinione pubblica”.
L’Eurocamera si impunta sul Rearm
Nella nota diffusa dall’ufficio stampa, il Parlamento europeo parla di un atto “proceduralmente scorretto e superfluo”, precisando di voler difendere le proprie prerogative istituzionali. Tanto che, paradossalmente, pur chiedendo l’annullamento del regolamento, i parlamentari invitano la Corte a mantenere validi i suoi effetti fino alla sostituzione con un nuovo provvedimento “adottato su basi giuridiche più appropriate”. Insomma: lo strumento serve, è urgente, è condiviso, ma intanto se ne congela la legittimità in nome delle regole. Ed è proprio qui che emerge il punto politico essenziale. Perché, a prescindere dalle sfumature tecniche, la verità è che l’Eurocamera si comporta come la caricatura che è sempre stata: proclama sostegno al riarmo e contemporaneamente lo impantana nelle aule della Corte di Giustizia. È il riflesso condizionato di un’istituzione che preferisce la burocrazia al rischio, il cavillo giuridico alla decisione politica, l’inerzia dei trattati al salto nella storia.
L’Eurocamera si è sentita “esclusa”
A guidare l’offensiva sono stati soprattutto i Socialisti e Democratici (S&D), che hanno denunciato la “sistematica esclusione” del Parlamento dai grandi dossier di sicurezza e difesa. Ana Catarina Mendes ha parlato di “un attacco ai diritti e doveri dell’Eurocamera”, mentre René Repasi, coordinatore S&D nella commissione giuridica, ha accusato la Commissione di portare avanti “una strategia di consolidamento del potere a spese dell’unico organo eletto direttamente dai cittadini europei”. Insomma, un conato di democrazia e parlamentarismo fuori tempo massimo. Ma non si tratta solo di S&D: anche popolari (PPE), liberali (Renew) e Verdi hanno trovato un punto di convergenza sulla necessità di difendere le prerogative istituzionali. Da qui la scelta di trasformare il ricorso in un’iniziativa dell’intero Parlamento, presentata a nome dell’Eurocamera e non di un singolo gruppo. In pratica, l’Eurocamera difende la propria centralità politica, ma nel farlo dimostra ancora una volta che l’Europa dei trattati e delle procedure è il peggior nemico dell’Europa come soggetto geo-politico.
L’Europa fuori dalla storia
Il paradosso è lampante se messo a confronto con ciò che accade oltre i confini europei: la Russia aumenta la spesa militare a livelli sovietici e lega la propria sopravvivenza geopolitica alla potenza bellica; la Cina: investe in un complesso militare-industriale che va di pari passo con la proiezione economica; Turchia e Israele: sviluppano tecnologie autonome, dalla dronistica all’intelligence; gli Stati Uniti che continuano a essere il garante militare dell’Europa non per generosità, ma perché l’Europa ha abdicato da decenni alla sua autonomia strategica, sia per incapacità politica che per sabotaggi esterni abbastanza evidenti. Mentre tutto ciò accade, a Bruxelles si discute se l’articolo 122 del Trattato fosse o meno la base giuridica corretta. È la fotografia impietosa di un continente che concepisce ancora la storia come un’aula universitaria, regolata da cavilli e procedure, quando intorno il resto del mondo si prepara allo scontro con la lingua delle armi. Un’Europa che rivendica la “legittimità democratica” ma non sa più parlare il linguaggio della potenza: questo è il vero deficit dell’Unione Europea.
Il deficit di democrazia
Per anni il mantra del sovranismo è stato ripetere che l’Unione europea ha un deficit di democrazia, un’arena tecnocratica che esclude i popoli e decide sopra le loro teste. Una critica che involontariamente ci prende: il problema non è che a Bruxelles ci sia “troppa poca democrazia” ma che ce ne sia pure troppa. E così si subordinano le scelte politiche – anche quelle vitali, come il riarmo – alla lentezza dei processi, al voto formale, al rispetto ossessivo delle procedure. In questo senso, il ricorso dell’Eurocamera contro il Safe è esemplare: non nasce da un impulso autoritario dei “grigi burocrati”, bensì da un eccesso di tecnicismo democratico. L’ossessione di essere sempre consultati, di non essere mai esclusi, di preservare fino all’ultimo cavillo la “legittimità democratica” porta a conseguenze grottesche: bloccare o rallentare un provvedimento che il Parlamento stesso ha definito essenziale. Di fatto, se ogni Stato nazionale, ogni gruppo parlamentare, ogni commissione pretende di esercitare il proprio diritto, si impedisce all’Europa di agire come soggetto politico decisionale. È la consuetudine che sterilizza la politica, la congela e la rende incapace di parlare la lingua della forza.
Sergio Filacchioni