
o per rinascere sotto ai portici di quella che hanno chiamato Piazza della Repubblica, un’altra Repubblica. Intanto ardi, arranchi ma ardi. Ad agosto a Firenze si brucia, sempre. E si bruciava anche in quell’estate del 1944, non solo perché torrida. Si bruciava di vita, di fronte alla morte portata da quei soldati che distribuivano cioccolata “color della merda” per addolcire un popolo che aveva il pepe nelle vene. A Firenze non poteva essere così facile, chi ti sbatte in faccia la bellezza non lo puoi vincere calpestandola.
E’ questa la storia di quei toscani che “tutti avevano in sospetto”, perché per dirla con Malaparte “dove e quando gli altri piangono, noi ridiamo, e dove gli altri ridono, noi stiamo a guardarli ridere, senza batter ciglio, in silenzio”. Furono proprio loro a gridare l’ultimo me ne frego, a mandare l’ultimo bacione alle truppe americane. E’ questa la storia di un franco tiratore. Ed è Mario Bernardi Guardi a narrarla nel suo nuovo romanzo, Fascista da morire (Mauro Pagliai Editore, pp. 204, euro 13).

Così dice Mario, protagonista del libro e allievo di Berto Ricci, raffinatissimo intellettuale fascista che rivendicò il diritto alla prima linea, per morire in piedi. Ed è questo che si può apprendere leggendo questa storia, c’è sempre una scelta oltre l’ignavia e la paura. C’è sempre il coraggio di rivendicare l’assalto. Quello che non mancò ai franchi tiratori fiorentini.“Forse siamo romantici con i nostri succhiotti insanguinati ma ci abbiamo anche le armi e siamo decisi. Forse non è finita. Pavolini spera di rompere i coglioni ai liberatori almeno per qualche altro giorno: poi chi vivrà vedrà. E se non vivremo, la vuoi mettere la soddisfazione di una città che non si è buttata via, che non ha sbaraccato l’onore, arrendendosi al nemico, ma lo ha preso a fucilate?”
E allora fuoco a Firenze. Era agosto cribbio ed era molto meglio crepare per vivere, che vivere per morire.
Eugenio Palazzini